Alla fine è normale, tutti i politici fanno delle leggi che possano favorire la loro parte politica; nella storia è sempre stato così. Allo stesso modo oggi Matteo Renzi si costruisce una riforma costituzionale addosso, convinto che il suo partito otterrà il 40% dei voti. Eppure, proprio questo punto è incerto, come vedremo.
Ciò detto, effettivamente Renzi ha ogni incentivo a correre questo rischio perché si è bruciato i ponti alle spalle e non ha spazi di ritirata, e se si ferma è perduto.
Questa tattica ha funzionato molte volte in passato ma stavolta potrebbe essere più rischiosa, perché questa forte tentazione personale di correre in avanti si combina con alcuni elementi della riforma in corso. Il vecchio sistema politico era eccessivamente bilanciato tra vari poteri, in quello nuovo non si capisce quali possano essere gli strumenti di equilibrio-contrappeso di poteri.
I contrappesi servono per evitare che decisioni autoritaristiche precipitino il paese nell’errore. L’autorità deve potere decidere, ma deve essere anche equilibrata per evitare errori catastrofici. In Cina c’è l’esperienza di Mao al riguardo.
Alla sua morte, alla fine degli anni 70, il gruppo dirigente guidato da Deng Xiaoping decise per una leadership collettiva del paese, una struttura cioè che eliminasse la concentrazione di potere che aveva spinto Mao nei mastodontici sbagli del Grande Balzo in Avanti (fine anni 50) e della Rivoluzione culturale (1966-1976).
Simili timori verso la concentrazione del potere erano insiti nella struttura di mille bilancini della costituzione italiana attuale, cucita addosso alla paura del ritorno del fascismo o dell’arrivo del comunismo.
Oggi certo tali orizzonti sono lontani e irreali, ma il 50% degli italiani che non vanno a votare, visti dalla Cina, sono prova della grande e sistematica sfiducia della popolazione verso la politica. Se a questi si sommano i voti anti-sistema dei 5 Stelle e della Lega Nord si ha una schiacciante maggioranza di italiani che non crede più alle promesse dei politici e che quindi nemmeno crede alla riforma costituzionale in corso.
La maggioranza di loro non sono rivoluzionari, ma moderati preoccupati per le tasse sulla casa, gli interessi in calo dei loro conti in banca, memori (solo in parte, per evidenti ragioni biografiche) delle minacce comuniste o fasciste del passato. Essi quindi domani potrebbero tornare a votare se non a favore di qualcuno, almeno contro un altro che li minacci nei loro piccoli sudatissimi interessi.
Già questo crea un calcolo delle probabilità contro Renzi. Le sue camicie sbottonate, o le cravatte giovanilistiche, troppo strette, il piglio da condottiero, persino le sue risposte troppo pronte, dove le parole sembrano precedere i pensieri, mandano vibrazioni di autoritarismo. Le quali, vere o false che siano, potrebbero concentrare tutte le forze in una specie di referendum contro Renzi. Quindi addio magico 40% e Renzi avrebbe lavorato per qualcun altro.
In ciò l’attuale premier non precipiterebbe. Pur sconfitto, Renzi sarebbe il capo di un partito che controllerebbe completamente. Pur circoscritto dai nuovi limiti di poteri della prossima costituzione, Renzi sarebbe comunque ancora giovanissimo, veloce e vitale e quindi avrebbe tutte le possibilità di una rivincita. Per lui quindi non c’è alcun disincentivo a procedere su questa strada a tappe forzate.
D’altro canto spesso gli uomini che fanno le rivoluzioni non sono quelli che poi le governano. In Cina alcuni pensano che se Mao avesse lasciato subito dopo avere preso il potere nel 1949 la sua memoria oggi sarebbe intatta e non tormentata dalle tante esperienze negative. L’uomo aveva infatti un sicuro talento di rivoluzionario, e una altrettanto sicura mancanza di talento di governante.
Ma questo futuro è lontano e imponderabile. Più prossima c’è la prospettiva della riforma costituzionale con la sua concentrazione di potere. Essa, pur necessaria nell’attuale momento storico del paese, forse potrebbe funzionare ma non in mano a un decisionista pigliatutto, che spingerebbe a voglie di un ritorno alla palude dell’incertezza, dove — almeno —nessuno è calpestato e si salvano tutti.
Forse servirebbe un moderato un po’ come il presidente Mattarella, che dia garanzie di tolleranza al di là della concentrazione del potere. Oppure servirebbe che Renzi cambiasse pelle, cosa difficile ma non impossibile.
Questo fu il successo della Dc. Pur avendo tutti i poteri e con un’opposizione congelata, essa fu tollerante e illuminata nell’esercizio del suo potere fermando le tante tentazioni autoritarie. Renzi, dunque, rifletta bene sulla storia del suo paese.