In uno dei tipici mille paradossi della politica italiana, tante carte sul tavolo hanno cambiato di segno. Il premier Matteo Renzi, che qualche mese fa sicuro di vincere voleva cambiare il referendum costituzionale del 4 dicembre in un plebiscito a suo favore, oggi dice di non volere personalizzare il voto. Invece le opposizioni, certe del trionfo, vogliono trasformare l’occasione in una gara contro di lui e il suo governo.
Cioè si cercano di cambiare costantemente le regole del gioco in modo che si adattino meglio alla propria parte e al risultato che ci si aspetta. Questo, per carità, è normale, la politica si fa anche così nella storia. Ma se questo diventa una costante e non un’eccezione, quest’abitudine crea inciampi costanti.
Ciò non solo perché non è equo cambiare le regole nel mezzo del gioco e la gente che guarda anche distratta prima o poi se ne accorge, ma anche perché nessuno sa quale sarà la situazione oggettiva in futuro e quindi il cambio delle regole che oggi sembra favorirci domani probabilmente ci danneggerà.
È quello che è successo con il referendum, modellato mesi fa da Renzi a suo interesse e che ora, per come è fatto, rischia di favorire i 5 stelle. Rischia, perché nessuno sa davvero cosa succederà fra qualche settimana nella estremamente volatile politica italiana.
Questo poi è solo parte del problema perché il primo evento che condizionerà la politica italiana sono le elezioni americane del 6 novembre. Anche se ora pare che Hillary Clinton sia nettamente in testa, fino alla chiusura delle urne possono esserci sorprese. Inoltre, anche se Donald Trump perdesse, a meno che non sia completamente travolto, l’ombra sua o di suoi possibili imitatori potrebbe condizionare ancora la politica americana e quindi di rimando pesare su quella italiana, fragilissima e quindi condizionabile ad ogni colpo di vento.
Finora con il presidente Barack Obama c’era stato un sostegno costante e fermo all’Unione Europea, un’opposizione al Brexit e anche a scuotere più di tanto l’Italia, tallone d’Achille della Ue. È probabile che Hillary continui su questa strada, ma è solo probabile, non certo. Quindi è possibile che a metà novembre arrivino idee da Washington in grado di scuotere la situazione europea (per esempio sul Brexit) e italiana. Giusto quindi votare il 4 dicembre quando ci saranno profili più chiari a Washington e in Europa. Ma ciò significa anche che prima di metà novembre tanti strepiti italiani rischiano di infrangersi su una situazione internazionale mutata.
Ciò dimostra una debolezza enorme della politica italiana che pare destinata a cambiare a ogni soffio di vento. Ciò certo dipende dall’instabilità del paese al momento, dipende dalla situazione internazionale incertissima, ma dipende anche dalla mancanza di visione strategica del governo e degli oppositori che lo inseguono.
I miglioramenti di efficienza e di riforma della spesa pubblica, per esempio, saranno spesi in mille rivoli di aiuti e soccorsi elettorali tesi a raccattare qualche voto in più, mentre per esempio le infrastrutture e le condizioni di sicurezza al sud continuano a essere molto più deboli rispetto al nord. Ciò è un enorme peso di lungo termine per l’Italia e l’Europa ma, dopo avere ossessionato per decenni tutti gli intellettuali d’Italia, nessuno pare pensarci più. Solo che con l’instabilità in Libia, l’Africa rischia di arrivare direttamente in Sicilia e Calabria.
Lo stesso vale per il debito pubblico. Fino a ieri sembrava un peso insormontabile. Oggi è vero che i tassi d’interesse sono molto più bassi, ma solo per questo sembra un problema dimenticato. Non sarebbe opportuno ora prendere quei risparmi di bilancio e invece che distribuirli per “comprare voti”, ripagare il debito? Oppure, approfittare dei tassi bassi per promuovere quelle opere di infrastrutture e sicurezza pubblica al sud?
Certo è difficile programmare quando non c’è certezza di governo, ma è anche vero il contrario. Proprio perché non c’è certezza di governo occorrerebbe una qualche àncora di programmazione che faccia individuare come ordinare le priorità. La vicenda del ponte sullo stretto di Messina è un esempio. Renzi lo aveva prima bocciato, poi nelle settimane scorse lo ha resuscitato per qualche giorno, e quindi lo ha di nuovo abbandonato.
Questo andirivieni è uno spreco di energie non solo del Paese ma anche sue. Una cosa simile vale per le olimpiadi. Voleva tanto quelle di Roma, non le ha potute avere per l’opposizione del neo sindaco della capitale, allora perché non sostenere invece, anche idealmente, la candidatura delle olimpiadi della Magna Grecia lanciata da un gruppo di sindaci meridionali?
Tutto pare — ma sarà probabilmente un errore — inutilmente personalistico, teso solo a stare sui titoli dei giornali con l’ultima bolla di sapone, che scoppierà fra qualche secondo ma poco importa, perché ce ne sarà un’altra e un’altra ancora.
In questo il M5s è più solido. Sostiene per esempio il No al referendum anche se il Sì oggi potrebbe convenirgli di più per tanti motivi. Ma c’è ugualmente una debolezza strutturale. “Onestà-onestà” non è un programma, è un sogno che tanti elettori realisticamente hanno trascurato per decenni e che ora solo sostengono per lo sfascio del sistema.
Oltre a Beppe Grillo, capace di comunicare alla folla e apparentemente anche di pensare in maniera strategica, i Di Maio, i Di Battista, le Raggi paiono persi, profondamente impreparati su cosa fare in maniera positiva.
Tutti sanno cosa non va bene, ma poi? Non è solo fare le strisce della città senza prendersi tangenti, poi occorre dire e programmare cosa fare a lungo termine della spazzatura o dei trasporti di Roma, su cui c’è silenzio e inefficienza ormai da mesi.
In tutto questo quindi si naviga a vista e l’impressione è che tutto quello che si dice vale con una scadenza, l’esito delle elezioni americane, dopo si vedrà. E dopo si vedrà soprattutto della più grande mina vagante del sistema, quella del Monte dei Paschi di Siena.
Qui ci sono due soluzioni possibili al momento, una di JP Morgan e una di Corrado Passera. Sono entrambe molto tecniche e non si capisce cosa faranno se non, in sostanza, nazionalizzare i miliardi di perdite, e mantenere la rete di distribuzione della Banca ripulita da consegnare ad altri. Come si possa farlo senza la benedizione della Banca Centrale di Francoforte ad oggi è un mistero, e per questo occorre aspettare, di nuovo, il nuovo presidente americano… Se non vuole essere ostaggio di ciò, Renzi o chi voglia succedergli dovrebbe avere un piano, una strategia chiara, altrimenti semplicemente egli o chi per lui non conteranno nulla.