Caro direttore,

Il funzionario cinese che mi ha dato quanto segue è un amico, e sono sicuro che mai mi trarrebbe in inganno.  Lo dico perché questa storia sembra uno scherzo, ma non lo è, lo giuro. Dunque, il fatto è che in Sardegna, quando il premier italiano Matteo Renzi e il presidente cinese Xi Jinping chiacchieravano da vecchi amici, Renzi ha messo una mano in tasca, l’ha tolta, poi ce l’ha rimessa, si è fermato, ha esitato, ha interrotto il discorso e infine l’ha tolta con in pugno un foglio di carta. Ha fatto per darlo a Xi, il presidente ha sgranato gli occhi, l’interprete non sapeva che fare, infine Renzi l’ha teso nelle mani del funzionario lì vicino che poi mi ha raccontato l’episodio e me l’ha dato. Renzi voleva che Xi Jinping gli dicesse cosa ne pensava di un suo discorso — un messaggio grave e importante, da farsi a reti unificate. Xi lo ha letto e ha detto che era bellissimo, che era proprio quello di cui l’Italia ha bisogno. Io non dovrei parlarne, ma, che volete?, il vizio del giornalista è difficile a morire, così invece di tenerlo per me, lo pubblico. Forse i cinesi volevano solo essere cortesi.…



(Lao Xi)

Cari italiane e italiani, oggi, a pochi giorni dal voto per il referendum costituzionale siamo di fronte a una situazione drammatica come forse non lo è stata da almeno 30 anni. Il rischio è reale, non facciamoci illusioni.

L’euro può crollare, l’Europa unita, dopo sette decenni di fatica, potrebbe dissolversi, i gruppi criminali che gestiscono il traffico di poveri immigrati dalla Libia potrebbero occupare il sud Italia. Le nostre banche sono sull’orlo di un tracollo e i nostri tassi di interesse potrebbero schizzare in alto, rendendoci rapidamente tutti molto più poveri.



Naturalmente questi sono rischi, non realtà, ma per evitare che si realizzino occorre lavorare rapidamente tutti insieme per obiettivi di breve orizzonte e poi forse anche per obiettivi di largo respiro. Non sono qui per adornarmi di gloria di quello che ho fatto durante il mio governo, ma nemmeno per coprirmi di fango. Ho fatto quello che ho potuto, al meglio che ho potuto. Così credo.

Ho cercato di fare passare una riforma costituzionale, perché sono convinto, e fino a ieri era convinto tutto il paese con me, che il bandolo della matassa dei problemi italiani sia la costituzione, splendida nel 1948, problematica oggi. Questa riforma non era e non voleva essere uno strumento per dividere il paese in buoni e cattivi, amici e nemici. Deve essere, e ne sono convinto, qualcosa che aiuti tutti, quelli che mi vogliono bene e quelli che mi vogliono male, gli italiani di oggi e quelli di domani, quelli che non sono ancora nati. Serve a rimettere l’Italia in piedi. 



O almeno così pensavo. Poi mi sono fatto prendere dalla foga, i miei avversari politici anche, e abbiamo, mi sembra, tutti perso la buriana. Abbiamo perso di vista che non possiamo che essere tutti insieme, quelli che votano Sì, quelli che votano No e quelli che si astengono. Tutti sono cittadini di questo paese e occorre tutti lavorare insieme per andare oltre questo guado.

A questo punto non importa chi vinca, se il Sì o il No. Non importa, e lo dico davvero, se ci sia ancora io al governo, se io sia rottamato come quelli che ho voluto rottamare. Quello che importa davvero è che il paese ritrovi l’unità. È bello fare il tifo per l’Inter o il Milan, ma prima, dopo e durante la partita, lo sappiamo tutti, è da pazzi prendersi a botte.

Noi italiani siamo divisi, ci odiamo, abbiamo il brutto vizio storico di chiamare alleati stranieri per mettere ordine a casa nostra contro il vicino che detestiamo. Questa volta, anche se volessimo, non ci sono alleati stranieri pronti a intervenire: siamo da soli perché non siamo più così cruciali e nessuno ha la forza e la voglia di salvarci. Dobbiamo farcela da soli e oggi siamo divisi.

Ci sono quattro gruppi oggi nel paese. C’è il mio partito, il Pd, poi c’è il centro destra, c’è il M5s e c’è la maggioranza, quelli che non votano perché non sostengono nessuno dei tre. Mi appello ai colleghi di tutti i partiti perché ci aiutiamo e aiutiamo il Paese a ritrovare l’unità. Al voto, certo, qualcuno deve vincere o perdere, ma chiunque vinca deve potere contare sull’appoggio degli altri e lui a sua volta deve ascoltare e accogliere tutti. L’Italia forse è impossibile da governare, ma certo non si può governare con dei capi accentratori, e se io in passato mi sono comportato così ho sbagliato. D’altro canto essere inclusivi non può significare fare pastette tra pochi potenti ed escludere la gente.

Come ai tempi della Costituente, dobbiamo trovare dei compromessi che non siano al ribasso ma il rialzo, su cosa sia necessario fare per tutto il paese. Ci vuole più velocità e responsabilità nelle decisioni, ma questo nuovo potere non deve essere abusato. Qui, non valgono tanto i vincoli legali che nel paese degli Azzeccagarbugli sarebbero presto aggirati, devono valere ancora di più valori morali, etici. I magistrati devono essere i guardiani della legge, ma questa legge non può poi entrare nel privato della vita. Ha ragione perciò Grillo a esigere onestà, ma ha ragione anche il centro destra a chiedere riforme che rendano le imprese più in grado di operare, e credo che abbiamo ragione anche noi del Pd, quando diciamo che i più indifesi, i più deboli devono essere sempre salvaguardati.

Ci sono tanti elementi per trovare un nuovo terreno insieme e non importa che sia io o un altro a guidare la grande coalizione che farà attraversare all’Italia questo momento difficilissimo. 

Per questo invito i miei colleghi e tutti gli italiani a ritrovare l’unità al di là del risultato del referendum, e sono sicuro che il presidente Sergio Mattarella non potrà fare altro che incoraggiarci su questa strada.

Perciò, il giorno dopo il voto, non sarà tanto importante pensare quale sia il mio futuro. Se il governo sarà costretto alle dimissioni, se ne uscirà rafforzato, se continuerà a sopravvivere pur azzoppato per attendere lumi maggiori da elezioni in paesi più importanti come Francia e Germania in primavera e autunno. La cosa più importante è ritrovare l’unità, puntando al massimo, non al minimo. Dopo il 1945 il paese era spaccato in mille pezzi, la gente si era uccisa a vicenda, tanti volevano continuare a combattere, da una parte e dall’altra, avevano le armi nascoste e volevano tornare ad usarle, eppure l’Italia si è unita.

Oggi non c’è più tempo per cancellare il referendum e chiedere l’apertura di una Costituente, ma questo occorre fare dopo il voto, comunque vada. Mi batterò perché il parlamento dia poteri speciali per eleggere cento rappresentanti che stilino entro un anno la prossima costituzione. Essi dovranno essere non coinvolti nella politica attiva, non potranno avere posti nel parlamento futuro e dovranno rimanere separati dai partiti che continueranno a lavorare in parlamento. Da qui forse potrà rinascere il seme di una nuova Italia unita.

 

(Direttore, si tratta ovviamente di una facezia, ma è seria invece la speranza che Renzi o chi per lui parli con questo registro agli italiani. LX)