Tra vent’anni, un secolo, due, scriveranno ancora romanzi, commedie, saggi e barzellette su di lui. In altri tempi gli avrebbero dato un posto nell’Olimpo o giù di lì perché è l’uomo che ha avuto tutto più di tutti: il potere, i soldi, il sesso, sì ma anche il fascino, la simpatia e persino una bella voce da giovane da fare il cantante.
È l’uomo che ha sedotto tutti, il primo e unico che dopo Mozart e Da Ponte ha dato corpo, sostanza e realtà al mito del don Giovanni accelerandolo, moltiplicandolo in lungo e in largo tanto da farne un uebermensch più che nietzchano.
Così Silvio Berlusconi è diventato anche il mito del bunga-bunga, l’allitterazione ritmica che accende ormai in tutto il mondo pensieri allegramente segreti e indecenti; è stato il Prometeo delle tv private che per primo vide e sfruttò tutte le nuove capacità e possibilità del potente mass medium; ma è soprattutto il Faust della politica che si è impossessato o ha condizionato il sistema di potere italiano per un ventennio, facendo innamorare di sé tutti, amici e nemici.
Berlusconi, oggi su un letto d’ospedale per un’operazione al cuore, vivo e vitale certo, ma allontanato forse per sempre dal suo superomismo totale, ha ricevuto in questi giorni gli omaggi di tutti, amici che lo piangono e disperano la sua dipartita sociale, ma anche nemici altrettanto sinceramente rattristati, perché per entrambi era ideale, come amico o nemico.
Come amico, modello, ispirazione era il compimento del sogno irraggiungibile dell’inizio del capitalismo, il magnate che si fa da sé, cominciando da zero, e si prende tutto: diventa il più ricco e il più amato dalle donne, come fu per esempio anche Howard Hughes e una genia di magnati “Citizen Kane” sparsi per il mondo. Ma più di loro, meglio di loro, Berlusconi è stato l’unico miliardario del mondo occidentale a essere democraticamente eletto e rieletto più volte.
Inoltre, quasi a condimento finale di questa torta esagerata che supera i sogni più estremi, Berlusconi è stato non amato, ma adorato dai suoi nemici. Lui era la colpa tutta dei guai italiani, lui era l’incarnazione del male che perseguitava la politica, era la personificazione di una maledizione diabolica che si era abbattuta sul paese. Era la scusa magnifica, inarrivabile con il suo potere, le televisioni, le donne a camionate, le amicizie vere e presunte con ambienti loschi e dittatori, i miliardi, il fascino, l’umorismo un po’ cialtrone che conquistava sempre le prime pagine; era l’alfa e l’omega dei guai del Belpaese.
Se per vent’anni l’Italia non ha marciato, se da motore di sviluppo è diventata palla al piede dell’economia europea e mondiale, la responsabilità non è dell’opposizione che ha divorato se stessa, che ha affossato per due volte l’unico candidato che aveva ogni volta vinto, Romano Prodi. Non è stata dei giornali, dei magistrati, dei comici che lo hanno demonizzato (ergo deificato). A lui per un ventennio l’Italia si è arresa, adorandolo o insultandolo, ma non trattandolo mai come persona normale.
Così ipnotizzata di lui era l’Italia che Berlusconi non è caduto perché l’Italia gli si è rivoltata contro, o lo ha messo di lato. È caduto perché il grande seduttore patrio è stato a sua volta sedotto da chi non avrebbe semplicemente dovuto toccare. I suoi affari con Gheddafi, con Putin, la sua insofferenza per le regole della diplomazia internazionale hanno creato un composto esplosivo che negli anni ha eroso anche le basi del suo potere italiano.
Quello che a Roma o Milano erano armi senza paragone (il sesso con le signorine, la fama promessa dalle sue tv, il potere del suo partito) all’estero erano tutti punti contrari. Contro questi non c’era da scagliarsi con veemenza, come accadeva in Italia, sintomo di invidia e cupidigia. All’estero bastava trattare questo suo charme come niente, come un fantasma: bastava non spaventarsi e passarci attraverso.
Alla lunga questa è stata la sua fine politica: l’incapacità di trasformare il suo successo privato in risultato pubblico per il suo paese e per il mondo.
O forse, oltre a questo, c’è stato anche dell’altro; forse il fatto che il grande seduttore sia stato alla fine sedotto anche lui dal suo mito. Non è riuscito a contribuire alla politica internazionale, non ha smosso quella nazionale e per di più ha trascurato anche i suoi affari. Si è fatto passare sotto il naso la rivoluzione informatica, internet, che in pochissimo tempo ha quasi marginalizzato le tv, forza della sua intuizione imprenditorial-politica iniziale.
In ciò Matteo Renzi ha avuto il merito storico di avere rotto definitivamente l’incantesimo che aveva obnubilato l’Italia per decenni e avere messo Berlusconi da parte semplicemente senza pericolose rivoluzioni o redde rationem.
Resta e resterà l’incanto. In altri tempi sarebbe stato forse un profeta, l’inventore di una nuova religione, uno Zhu Yuanzhang, il bandito-rivoluzionario che fondò la dinastia Ming, magari un Mao Zedong, insomma un uomo fuori dall’ordinario come in tanti vorremmo essere.
In questi tempi e a queste latitudini è stato un miliardario-politico che prima ha sedotto donne e uomini e poi si è fatto sedurre anche lui dal suo successo. Un mito per le teogonie dei secoli che verranno.