In gran parte il destino del partito di governo, il Pd, è associato alle scelte che farà il Movimento 5 Stelle al secondo turno: farà patti politici nella capitale e in Italia o no?

Grazie a dichiarazioni pre-elettorali della Meloni e di Salvini, a Roma la candidata M5s, Raggi, dovrebbe potere contare sul sostegno di tanti che hanno votato la Meloni al primo turno. Ciò dovrebbe incoronare la Raggi sindaco di Roma appunto per i prossimi cinque anni, ma contemporaneamente gli elettori che per esempio al primo turno a Milano hanno votato M5s, al secondo sceglieranno Parisi (centrodestra) o Sala (centrosinistra)? Oppure gli elettori M5s semplicemente si asterranno?



Simili scelte poi si impongono ad M5s in quasi tutte le città. In questo il movimento è di fronte a scelte politiche radicali: deve venire a patti con altri partiti, e in questo si sporca le mani con la politica, forse anche bassa, di scambio di favori e utilità. Se invece il M5s sceglie di rimanere puro, di non chiedere o ricevere sostegno da altri, allora rischia di scomparire quasi ovunque, perché il sistema elettorale alle amministrative è tarato su due partiti, e non tre come ce ne sono di fatto oggi in Italia.



In ogni caso già questo risultato crea dei movimenti tettonici nel M5s. Se anche Giachetti (Pd) riuscisse a vincere a Roma (per quanto oggi appaia improbabile), la Raggi avrebbe una dote di circa mezzo milione di voti a Roma, il che la rende il politico più votato e popolare del movimento.

Ciò accade mentre la leadership per il resto è debole: Grillo, il leader carismatico, appare sempre più come un delfico vate; Casaleggio junior, “padrone” del movimento, ha la tara di aver ereditato il partito dal padre morto; Di Maio e Di Battista saranno anche telegenici e gagliardi, ma sono diventati popolari dopo essere stati eletti, non prima.



Quindi la Raggi già oggi e molto di più se vincerà a Roma può vantare una forza sua considerevole che capovolge i rapporti con il movimento che l’ha più o meno costretta a una specie di contratto di servizio-sudditanza con la ditta Grillo-Casaleggio junior.

Giovane, posata, accorta, se semplicemente nelle prossime settimane e poi da sindaco nei prossimi mesi non fa troppi sbagli, la Raggi è di fatto il nuovo capo del M5s; che sarà costretto a seguirla o a semi-espellerla. Entrambe le scelte sono destinate a cambiare il movimento.

Questo scossone poi potrebbe essere moltiplicato dalle scelte del M5s nelle città in cui è stato escluso dal ballottaggio: i suoi elettori voteranno pro o contro il Pd di Renzi? In questo senso i voti cruciali dei 5 Stelle in molte città potrebbero trasformare il secondo turno in una specie di plebiscito contro il governo. Se il M5s si schiera decisamente contro il premier forse nessuna delle grandi città potrebbe rimanere al Pd.

O viceversa, per vincere, il Pd dovrebbe corteggiare il M5s, e il movimento dovrebbe accettare il corteggiamento. 

In ogni caso, il M5s perde la sua “purezza” movimentista e deve in sostanza scegliere se indirettamente appoggiare o meno il premier in generale. Se infatti il Pd perdesse oltre a Roma e Napoli anche Milano, Torino e Bologna (cosa possibile) Renzi sarebbe molto in difficoltà.

In questo momento, come non mai nella sua breve storia, il M5s può spingere l’Italia da una parte o dall’altra, ma lo dovrebbe fare con un disegno strategico, contrattando con l’alleato che si sceglie (Pd o centrodestra) cosa fare del paese al di là di un “governo degli onesti” che certo è necessario ma forse non sufficiente.

In realtà il gioco a tre è un classico della strategia. Tra la fine degli anni 30 e 40, in Cina i nazionalisti cinesi del Kuomintang (o Kmt, Partito nazionalista cinese, ndt), i comunisti e i giapponesi erano tutti e tre in guerra l’uno contro l’altro, anche dopo la formale alleanza antigiapponese di Kmt e comunisti. Alla fine vinsero i comunisti soprattutto perché seppero indebolire contemporaneamente Kmt e giapponesi.

Oggi tra centrodestra, PD e M5s è la stessa cosa, ma sono i 5 Stelle in questi giorni ad avere il pallino in mano.