La pausa di Ferragosto sembra essere anche una pausa mentale per l’Italia mentre il Paese si avvia all’autunno tra grandi timori e incertezze.
L’appuntamento temuto per il governo di Matteo Renzi e del suo Pd è ormai il referendum sulla Costituzione. Diversamente da qualche mese fa è chiaro che l’esito è molto incerto e l’approvazione del referendum non può essere troppo legata al premier. Sarebbe una tentazione troppo forte per molti italiani, stufi di Renzi, per votargli contro. Voterebbero contro il referendum solo per sbarazzarsi dell’attuale governo.
Rendendosi poi conto che con l’attuale legge elettorale i vincitori assoluti rischiano di essere quelli del M5s, il Pd vorrebbe modificarla. Per Renzi e i suoi infatti il referendum è ormai una trappola. Se vincono i No è di fatto un voto di sfiducia per Renzi (infatti incombe ancora la promessa-minaccia delle dimissioni del premier in caso di sconfitta); se vincono i Sì, si va a votare con una legge che potrebbe dare tutto il potere al M5s, che a quel punto cercherebbe di far sciogliere rapidamente le camere e andare a un voto del parlamento anche per evitare di essere logorato dalle tante polemiche per l’amministrazione di Roma.
Per gli stessi motivi per cui oggi il referendum è una trappola per il Pd, esso è una grazia per il M5s. I grillini fanno campagna per il No: se vincono hanno battuto Renzi faccia a faccia e potrebbero imporre la loro tabella di marcia verso una nuova legge elettorale. Se vincono i Sì, hanno uno strumento per tentare di prendersi il Paese al prossimo voto.
In questo frangente la destra è stata largamente assente, divisa tra chi vorrebbe il Sì per motivi istituzionali (pensando che la riforma della Costituzione è impellente) e chi vorrebbe il No per far dispetto a Renzi o perché sinceramente convinto che la riforma sia un pateracchio.
In questa spaccatura Stefano Parisi sta emergendo in questi giorni con una proposta che spariglia le carte. Dice che la riforma Renzi-Boschi è fatta male e non risolve i problemi di governabilità per cui è pensata, e sostiene che il paese ha bisogno di una costituente.
Questa proposta apre anche un margine di manovra e di speranza per quello che si legge e ci si aspetta dell’Italia all’estero. Qui, forti anche del risultato potenzialmente esplosivo per l’Unione Europea del Brexit, l’aspettativa è che l’Italia si salvi, almeno temporaneamente, con la vittoria dei Sì; e che esploda, trascinata dai debiti delle banche e dalle mille incertezze politiche, in caso di vittoria dei No.
Non è chiaro quanto l’appello razionale e ragionevole di Parisi sia effettivamente praticabile in un momento di opposte ire, di grande preoccupazione internazionale e di economia forse quasi allo sbando. Non è certo che una costituente possa fare meglio di quanto abbia fatto il parlamento in quasi tre anni di aspro e vano dibattito. Ma forse proprio questo ciclone di incertezze dovrebbe spingere tutti a una pausa per riflettere. La trappola attuale del Pd è dovuta al semplice fatto che Renzi pensava un anno fa che dopo 12 mesi, oggi, avrebbe avuto lo stesso consenso di ieri: in questo clima estremamente volatile, però, le fortune si fanno si disfano nell’arco di pochi giorni, figuriamoci di mesi. La verità è che nessuno sa cosa succederà fra 12 o 24 mesi e quindi quali equilibri di forze ci saranno. Questo è stato l’errore del Pd e potrebbe essere oggi quello del M5s se continua a credere di avere messo tutti nel sacco.
Gli uomini di Grillo sono poi così sicuri che il sindaco di Roma Virginia Raggi non si impantani sempre più sulla storia dei rifiuti e trascini nel fango tutto il movimento? Quel 50 per cento di astenuti dimostra che la maggioranza degli italiani sono insoddisfatti di tutti, compresi i 5 stelle, le cui fortune allora potrebbero tramontare così rapidamente come sono sorte.
Insomma, sia Pd che M5s forse oggi avrebbero un interesse a disegnare una carta di equilibri politici che possa governare il paese al di là che vinca tizio o caio, perché con il terremoto in corso tra sei mesi, e tanto più fra un anno, non è certo che vinca tizio o caio.
Questa situazione di enorme incertezza sul futuro, non registrabile dai sondaggi, come si è visto, crea oggettivamente una situazione neutra simile a quella della Costituente del 1946, quando nessuno sapeva chi avrebbe vinto e quindi tutti avevano un interesse oggettivo a trovare una soluzione di equilibrio.
Oggi quindi sia Pd che M5s potrebbero avere un interesse a fermare il gioco in una costituente e a non gettarsi in una scommessa che fra 12 o 24 mesi potrebbe rovinarli e estinguerli, rovinando poi insieme il Paese e l’Europa.
La destra poi che interesse ha? Il centrodestra è diviso, e pare in via di estinzione. Nei fatti Parisi gli ha offerto l’unica àncora di speranza. Al di là dei numeri, ancora cospicui, in parlamento, nel territorio gli unici dati positivi sono venuti da Cosenza, con una vittoria al primo turno, e da Trieste, con una vittoria al secondo turno sembra per dispetto al governatore Pd del Friuli Serracchiani. In tale contesto una costituente potrebbe essere un’ancora di salvezza.
Tutti dunque potrebbero avere interesse a una costituente; ma si arriverà a questo e non ci si farà accecare dalla propria posizione attuale di forza? In fondo proprio in questo senso sembra andare un grande vecchio del Pd, un altro Parisi, Arturo, che sulla Stampa ha invitato a votare per il Sì, ma con toni e pensieri pacati. Potrebbe essere una via d’uscita per tutti.
Nel 1945, alla fine della guerra i nazionalisti del Kmt avevano praticamente tutto. I comunisti erano riusciti solo a sopravvivere ed erano stremati. I sovietici che li appoggiavano era intervenuti solo alla fine della guerra ed è erano stati salvati dal collasso solo perché Hitler era troppo ambizioso, Stalin non aveva aperto il secondo fronte coi giapponesi e gli Usa avevano tenuto in piedi la quasi collassata economia russa.
In quel momento gli americani, non troppo innamorati del Kmt, avrebbero visto con favore un periodo di pace ed elezioni pubbliche con il Kmt e i comunisti, tipo quelle dell’Italia nello stesso periodo. Il capo del Kmt Chiang Kai-shek però era sicuro della sua forza militare, mentre non era altrettanto certo del suo successo in un libero dibattito elettorale. Quindi voleva schiacciare i comunisti con la forza e cercava lo scontro. Per gli stessi motivi i comunisti, timorosi della propria debolezza militare, avrebbero voluto forse elezioni democratiche, che avrebbero consolidato la propria posizione.
Il Kmt, più forte, spinse verso il confronto. In realtà in poco tempo la situazione era mutata. I comunisti erano stati armati e equipaggiati dai sovietici e lo sforzo di cercare la pace e un compromesso dei comunisti aveva alienato tante simpatie anche nell’esercito nazionalista, stanco di combattere dopo otto anni di durissima guerra contro i giapponesi.
I comunisti combatterono quindi meglio del previsto e il Kmt peggio; il risultato fu che alla fine del 1949 il Kmt era stato espulso da tutta la Cina tranne che da Taiwan, dove sopravvisse protetto dagli americani.
Col senno di poi se Chiang Kai-shek subito alla fine della guerra, nel settembre 1945, contro i calcoli del momento, avesse teso la mano ai comunisti, come fece la Dc al Pci nello stesso periodo, oggi il Partito comunista cinese sarebbe molto diverso e forse nemmeno al potere.
Forse quindi la lezione dalla storia cinese, confrontata con gli esiti invece italiani di 70 anni fa, è che cercare la convenienza del paese a dispetto della propria convenienza immediata di partito alla fine premia proprio il partito.
Certo rimane poi da capire quali sarebbero i principi di una futura costituente oggi, ma questa è un’altra storia per un altro articolo.