Da oltre 70 anni gli equilibri politici italiani sono influenzati più o meno pesantemente dall’America, paese che liberò l’Italia dai nazifascisti decidendo poi di non punirla pesantemente. Altro polo di gravità per l’Italia è l’Europa, che nel bene o nel male ha costruito una specie di esoscheletro intorno al Paese, che lo costringe ma anche lo sostiene.
Solo che oggi l’arrivo al potere di Donald Trump cambia tutti gli equilibri nel mondo e anche in Italia.
Matteo Renzi aveva scommesso tutto sul predecessore Barack Obama. Ma la sconfitta di Hillary Clinton ha rotto gli equilibri italiani su entrambi i fronti, americano ed europeo. Trump è infatti disinteressato all’Europa. Direttamente, come abbiamo già detto, ciò significa che si disinteresserà delle questioni italiane, ma poi si disinteresserà anche delle questioni europee, cosa che avrà un ulteriore peso su Roma. Senza il sostegno americano, anzi con Washington più vicina a Mosca, la Germania ha il problema di salvare se stessa e la sua orbita stessa.
Sentendo la nuova aria in arrivo dagli Usa, Theresa May a Londra ha deciso di rompere gli indugi e dichiarare la sua uscita dall’Unione. Non sappiamo se e come uscirà effettivamente, ma ciò è sufficiente perché Berlino oggi si debba concentrare su due priorità.
Deve assicurare che in Francia alle presidenziali di maggio Marine Le Pen, rappresentante dell’antieuropeismo continentale, non ottenga neanche una minoranza cospicua. Ciò è molto difficile.
Ancora più difficile è il secondo obiettivo: avere una vittoria certa di Angela Merkel alle elezioni tedesche di autunno. Ciò potrebbe essere molto difficile, perché Trump non la sostiene e Putin si leccherebbe i baffi se fosse sconfitta. Senza pensare alla gioia della May o della Le Pen. Quindi è Angela contro tutti, e solo dopo una vittoria della cancelliera di ferro si potrà pensare a riformare l’Ue, di certo non prima.
Questo non lascia spazio all’Italia. O meglio, l’Italia faccia come le pare: se fa male sarà degradata a livello di semi-Libia e basta.
Il quadro crea limiti oggettivi all’orizzonte di azione del Pd. Il partito non può essere forza di stabilità e poi volere elezioni a giugno che aumentano oggettivamente la confusione generale europea. Se Renzi spinge ancora in questa direzione verrà degradato a mina vagante dell’Europa, forse anche peggio del M5s, dove nemmeno i grillini scalpitano come lui per il voto.
Quindi Renzi si trova in una posizione oggi impossibile, che lo porta diritto nel baratro e se vuole salvarsi deve cambiare completamente direzione. Se chiede infatti elezioni a giugno spinge allo sfascio poiché crea problemi per Merkel senza ingraziarsi poi Trump o May, totalmente disinteressati alle sorti dell’Italia.
Inoltre da tali elezioni è probabile che ne esca sonoramente sconfitto. Quindi, come abbiamo già scritto, deve fermarsi a riflettere, soprattutto chiedersi cosa sta facendo. Dopo aver perso lo slogan della rottamazione e avere perso il treno dell’alta velocità riformista (con la sconfitta al referendum) non sa cosa fare e cosa essere.
Con lui però c’è anche tutto il suo partito, che lo ha seguito o lo ha contrastato su quella strada. Chi lo ha seguito oggi è in un vicolo cieco, come Renzi. Chi gli si è opposto non lo ha fatto con forza e argomenti sufficienti da sostituire nel cuore degli italiani l’opposizione che rappresenta il Movimento 5 Stelle.
Se il Pd sta male, la destra sta peggio. Tutto pare gravitare intorno agli equilibri incerti di Silvio Berlusconi che non vuole andare al voto prima di avere sistemato i suoi complessi affari privati. E per questo non vuole nemmeno forti eredi interni che possano sfilargli il partito, pedina forse importante anche per i suoi affari privati. Da questa parte una quadratura del cerchio potrebbe avvenire solo se si trovasse qualcuno che dà fiducia al Cavaliere in tanti sensi e fa trovare al centrodestra una rotta. Ma finora costui non c’è e quindi tutto resta indeterminato.
L’ultimo pezzo del puzzle italiano sono i grillini, i quali ad oggi vincono comunque, che si vada al voto a giugno o fra un anno. La tempesta sulla Raggi non si ferma, ma i guai di Roma sono più grandi della signora sindaco, e questo sembra proteggere le stelle del movimento. La Appendino a Torino sta facendo meglio della sua collega romana e questo pare proteggerla.
Anche con l’aria di proporzionale che c’è in giro, i 5 Stelle potrebbero vincere a mani basse e poi raccattare la maggioranza che vogliono in parlamento. Molti deputati a quel punto sarebbero in vendita e il movimento non farebbe fatica ad acquistarli a prezzo di saldo.
Il punto vero però è un altro: con chi governerà Grillo? I suoi delfini, Di Maio e Di Battista, sono apparsi deboli, incapaci di andare oltre una dichiarazione di due minuti. Grillo deve risolvere questa debolezza essenziale del movimento. Non avendo una squadra di governo, il M5s apre nei fatti alla prospettiva tutta di palazzo di una grande alleanza anti-M5s.
L’alternativa dunque che si aprirebbe per gli elettori sarebbe quella di scegliere tra i 5 Stelle che sono nuovi, non corrotti, ma anche senza alcuna esperienza e quindi con grande possibilità di fare errori e sciocchezze, come sta succedendo a Roma con la Raggi, oppure volere una grande alleanza di nuovi e vecchi rottamandi, che saranno corrotti e sgradevoli, ma almeno sanno governare.
Se la scelta fosse posta in questi termini potrebbe essere non facile per la grande alleanza anti-grillina, a cui si potrebbe obiettare semplicemente: meglio uno che non sa governare di uno che ha esperienza di governare male. Ma non sarebbe facile nemmeno per il Movimento, a cui la contro-obiezione sarebbe: Roma era un disastro ma oggi è peggio, e poi voi siete settari e illiberali, almeno i vecchi garantiscono di più la libertà.
Insomma, se si andasse al voto con queste scelte le già profonde spaccature dell’Italia si potrebbero approfondire, cosa dannosa e pericolosa per tutti.
Occorre pertanto che l’attuale governo di Paolo Gentiloni faccia del suo meglio per navigare in queste acque burrascose, fin quando l’orizzonte internazionale si chiarisca e si ricompongano le varie fratture politiche attuali.