La leggenda arrivata fino in Cina è che il presidente emerito Giorgio Napolitano abbia detto altro, oltre all’ormai celebre monito “nei Paesi civili alle elezioni si va a scadenza naturale e a noi manca ancora un anno”. Napolitano avrebbe confidato: in ogni modo bisogna fermare questa follia delle elezioni anticipate. Difficile che questo sia solo il suo parere, non condiviso anche dal presidente Sergio Mattarella, da sempre contrario a strattoni per tornate alle urne in anticipo.

Moniti e affermazioni sono consolanti per chi pensa che un voto oggi sarebbe un disastro per l’economia, ma sono pure preoccupanti. Se vi fosse davvero un ampio accordo per non ricorrere alle urne, Napolitano non avrebbe infatti avuto bisogno di uscire in quel modo.

In realtà in Italia c’è sulla carta una maggioranza del parlamento favorevole al voto presto. Sono favorevoli i M5s, la Lega Nord, quelli della Meloni e i renziani del Pd. Queste sono forze non coese fra di loro, spesso in teoria e in pratica concorrenti. Ma dietro di loro ci sono realtà più importanti. L’amministrazione americana del presidente Donald Trump sta distruggendo gli accordi bilaterali e si è proiettata contro la Germania, colpevole, a suo dire, di un surplus esagerato grazie a una valuta, l’euro, che circola sotto prezzo. In concreto non è un’accusa solo a Berlino ma all’architettura europea. L’idea di far rivalutare la moneta della Germania e ridurre il suo surplus commerciale sarebbe più facile senza l’unità dell’Europa e dell’euro.

In Gran Bretagna la premier Theresa May ha interessi simili e convergenti: la sua oggi difficile uscita dall’euro domani sarebbe più facile se l’Unione Europea dovesse spaccarsi e l’euro saltare.

Un’America che tratti singolarmente con i vari stati nazionali potrebbe essere anche un sogno che si trasforma in un incubo, poiché scatenerebbe mille nazionalismi e razzismi oggi sedati, almeno in parte, dall’Unione.

In Usa e Uk invece l’obiettivo è chiaro: indebolire l’Unione Europea e l’euro anche a costo di sfasciarli. Per questi scopo l’Italia può essere il punto di leva. Se si sfascia l’Italia si sfascia l’Europa. Quindi il composito gruppo di sfascisti italiani diventano interlocutori di riferimento.

Il problema si pone innanzitutto per Matteo Renzi. I suoi sostenitori di riferimento non erano coloro che volevano la fine di Ue ed euro; al contrario. Lui è stato mandato al governo per salvarli. Se però oggi cambia carrozza, lavorando oggettivamente nel fronte anti europeista, i suoi vecchi sostenitori lo abbandoneranno (se non lo hanno già abbandonato), mentre per i nuovi è solo l’ultimo della lista: Beppe Grillo e Matteo Salvini ben prima di lui avevano scommesso contro l’euro e l’Europa.

Comunque tutto ciò può essere solo una questione di bilancini, dove i politici italiani, geni della tattica quanto persi nelle strategie, possono navigare. Per gli sfascisti però stavolta i rischi non sono solo teorici, ma molto reali. Gli ultimi dati parlano di una disoccupazione giovanile al 40 per cento, il che significa che al sud è a circa all’80 per cento. Vero, il tessuto della famiglia e delle pensioni di genitori e nonni funziona come ammortizzatore sociale ma questo dimentica che tre regioni del Sud — Campania, Calabria e Sicilia — sono presidiate dalle mafie.

Quando quasi tutti i giovani sono disoccupati, e le prospettive dell’economia sono nerissime, si crea un’enorme occasione di reclutamento dell’esercito delle mafie. Il flusso di migranti dalla Libia avviene per la distruzione di ogni parvenza di stato in Libia, ma anche probabilmente per una saldatura di interessi tra mafie italiane con trafficanti di schiavi africani. Del resto non sarebbe la prima volta che ciò avviene nella storia. Cioè mentre lo sviluppo economico dello stato fallisce da una parte, dall’altra parte si crea uno spazio pericolosissimo perché mafie con collegamenti in Africa e con i peggiori tagliagole del mondo, come i veri o finti fanatici dell’Isis, prendano più potere in Italia.

Allora le prospettive vere che gli sfascisti creano sono quelle non solo di un’Italia sganciata dal suo esoscheletro europeo, ma di un’Italia sempre più in mano alle mafie, interne ed esterne.

Negli anni 70 e 80 la “distrazione” dello stato occupato a fronteggiare il terrorismo politico creò lo spazio per l’emersione di un terrorismo mafioso con velenosi tentacoli ovunque, dalla Tailandia all’Afghanistan, all’America Latina, agli Stati Uniti. Allora fu combattuto e vinto dall’Italia ma con il sostegno attivo degli Usa, consci del pericolo terroristico posto da quelle organizzazioni criminali. Oggi il pericolo è maggiore perché i terroristi alleati oggi alle mafie italiane, quelli dell’Isis, sono votati a distruggere gli Usa. Ed oggi minacce politiche molto diverse stanno creando spazi analoghi e maggiori rispetto agli anni 80.

Visto dalla Cina, non è chiaro quanto questi rischi siano di prospettiva o già reali. Di certo l’amministrazione Trump deve capire che al di là di simpatie o antipatie per Ue ed euro occorre avere un focus speciale sull’Italia da un punto di vista della sicurezza e da un punto di vista strategico per il Medio Oriente e il mondo.

Quindi da una parte occorre una coscienza internazionale del pericolo strategico di sfasciare l’Italia. Dall’altra dimostra le profonde mancanze di tanta classe politica, che non riesce a dialogare con i suoi interlocutori esterni né si avvede dei rischi internazionali che l’Italia sta portando a galla. Ma ciò oggi non avviene e l’idea di mettere in crisi l’Ue pare dominare.

In questo spazio di estrema fragilità resta di fatto solo l’equilibrio di Mattarella, che potrebbe garantire sufficiente serenità perché l’Europa superi le elezioni francesi e tedesche, rispettivamente in primavera e autunno, per poi forse prendere di petto la questione italiana ed europea.

 

(tradotto dal cinese da Francesco Sisci)