Caro direttore,
molti commenti sull’esito delle recenti elezioni regionali ricordano un ammalato che si considera sano perché ha evitato una polmonite e si è beccato solo un’influenza. Si parla, infatti, di sconfitta di Salvini e di vittoria del Pd: evitata la polmonite della perdita dell’Emilia-Romagna, rimane solo l’influenza della perdita della Calabria. E si parla addirittura, ipotesi finora temuta, di un possibile ritorno alle urne, perché questo rinnovato Pd sembrerebbe in grado di sconfiggere la Lega di Salvini.



Tuttavia, l’impressione che si ottiene confrontando questi risultati con quelli della precedente elezione regionale è un po’ diversa.

Per l’Emilia-Romagna, un dato messo molto in evidenza è il balzo della partecipazione elettorale: dal 37,71% del 2014 al 67,67% del 2020, cioè da 1.304.841 voti a 2.373.974. La causa di questo quasi raddoppio nell’affluenza è stato da molti attribuito ai toni eccessivi della campagna di Salvini, che avrebbero prodotto una specie di “chiamata alle armi” per gli elettori di sinistra.



A parte il fatto che un’ampia partecipazione alle elezioni è un segno positivo per la democrazia, sarebbe il caso di segnalare come sia il dato del 2014 a essere fuori norma. Infatti, nelle regionali del 2010 l’affluenza era stata del 68,07%, lasciando pensare che nel 2014 l’affluenza si fosse quasi dimezzata per una diffusa apatia tra gli elettori, dato il risultato “certo” a priori delle elezioni.

Il “risveglio” dovuto alla campagna di Salvini non sembra, però, aver interessato solo l’elettorato della sinistra. Stefano Bonaccini è stato eletto con il 51,42% dei voti diretti contro il 49,05% del 2014, ma con un distacco su Lucia Borgonzoni del 7,79%, mentre nelle precedenti elezioni la distanza con il candidato di centro-destra era stato del 19,20%. Nel 2010, Vasco Errani aveva vinto con il 52,07%, distaccando al 15,34% la candidata del centro-destra.



Il confronto dei voti alle coalizioni mostra una distanza ancor più ridotta: centro-sinistra 48,12%, centro-destra 45,41%, differenza pari a 2,71%, contro rispettivamente 49,69% e 29,7% nel 2014, con uno scarto di 20 punti percentuali. È da rilevare, però, la minore bipolarizzazione nel 2014, dove i partiti al di fuori delle due principali coalizioni raccolsero il 20,75% dei voti, contro il 6,5% di queste elezioni. La minore dispersione ha giocato a favore del centro-destra, anche per quanto riguarda i seggi, passati da 11 a 18, mentre per il centro–sinistra sono scesi da 31 a 28.

Da tener presente, inoltre, il collasso del Movimento 5 Stelle, passato dal 13,27% all’attuale 4,74% e da 5 a 2 seggi, con la perdita del 35% dei voti. È probabile che la maggior parte dei voti mancanti sia andata al centro-sinistra: secondo quanto dichiarato da Carlo Buttaroni nell’intervista al Sussidiario, si può stimare l’esodo verso il centro-sinistra al 50% e solo del 20% al centro–destra. Un aiuto che non ha fatto brillare più che tanto i risultati della coalizione Bonaccini e, in particolare, del Pd.

Il confronto dei dati evidenzia un altro collasso, quello di Forza Italia, passata dall’8,36% nel 2014 al 2,56% nel 2020, con la perdita del 45% dei voti. Andamento opposto per Fratelli d’Italia, passata dall’1,92% all’8,59%, cioè da 23.052 voti a 185.796, più di tre volte quelli di Forza Italia. La Lega si è confermata il maggior partito del centro-destra con il 31,95% dei voti contro il 19,42% del 2014, cioè 690.864 voti contro 233.439.

Di fronte a questi risultati, è difficile sostenere che Salvini abbia perso. È più oggettivo dire che non è riuscito a vincere in quella che è la roccaforte da 70 anni di Pci e suoi successori. Che, forse per la prima volta in tutto questo lungo periodo, si sono veramente sentiti in pericolo.