Ogni governo è sempre politico. Ovvero: attendiamo di sapere in che modo l’esecutivo Draghi intende risolvere i problemi che ci troviamo davanti. M5s è il partito di Conte, è sua la leadership; non di Casalino (una meteora). Ma al leader bisognerebbe affiancare una sorta di comitato direttivo. A dirlo è Francesco Sapia, deputato 5 Stelle spesso fuori dal coro del suo partito. Sapia snocciola una lunga serie di critiche al governo Conte 2 e non esclude né una scissione dei più intransigenti, né di assumere orientamenti personali in contrasto con le direttive di M5s. Anche il Pd è ostaggio di correnti interne e rapporti di forza: “nella prospettiva dell’alleanza serve un confronto, possibilmente aperto”.



Conte e Di Maio auspicano un governo politico. Cosa significa?

Immagino un governo con ministri provenienti dal parlamento o dalla dirigenza dei partiti. Mi permetto di osservare, però, che non esistono governi tecnici: ogni governo è sempre politico. A prescindere dalla sua composizione.

In concreto?

Dovrà emergere la linea politica del nuovo esecutivo, chiamato a risolvere problemi delicati e a bilanciare esigenze differenti: la ripresa delle imprese, e quindi del lavoro e dell’economia, e la tutela delle fasce più deboli.



M5s assumerà una linea sulla base di quello che “i parlamentari decideranno”, ha detto Di Maio. È un alibi per decidere altrove? O sarà una decisione a maggioranza?

Dopo le dichiarazioni a caldo di Crimi, di chiusura a Draghi, Di Maio ha aperto a un confronto politico sui temi e le priorità da discutere con il presidente incaricato, che è di altissimo prestigio. Di Maio ha detto in altri termini ciò che io avevo auspicato il giorno prima.

D’accordo, ma al momento in M5s le decisioni chi le prende?

Il punto è invece come si prendono le decisioni; a volte d’impulso, spesso senza il necessario confronto, in altri casi sulla base dei rapporti di forza e delle correnti interne. Per quanto mi riguarda, non ho difficoltà ad ammettere che nel Movimento c’è bisogno come il pane della dialettica sugli argomenti e sulle questioni, che richiede volontà, impegno, disposizione all’ascolto, uniformità di linguaggio e sintesi.



Insomma lei chiede più confronto interno. Perché non c’è?

Nel Movimento pesa molto una cultura dell’immediatezza, figlia del digitale e dei suoi strumenti, che ci sono utili per comunicare in maniera rapida e diretta. Ma la politica è dialogo, ragionamento, prospettiva. Che necessitano del dibattito in presenza, di una visione di profondità: del passato, del presente e del futuro. Il Movimento è ancora lontano da questa convinzione.

L’altro ieri Conte era sparito, poi ha scelto pubblicamente una linea di disponibilità e di sostegno a Draghi. Che cosa o chi l’ha determinata?

Draghi ha parlato a lungo con Conte, che è figura di spessore ed è l’attuale riferimento dell’intera alleanza giallorossa.

Vuole dire che ha deciso da solo?

In diverse situazioni di incertezza Conte ha supplito, anche commettendo errori, alla fluidità politica del Movimento. Ne è stato il leader e continuerà ad esserlo. Di fatto, il Movimento guidato da Conte è tutt’altro rispetto a quello delle origini, sia nella forma che nella sostanza. Ma al leader bisognerebbe affiancare una sorta di comitato direttivo.

Ah, ecco.

E qui andrebbe aperta una discussione sul merito individuale, purtroppo sempre rinviata. Il che a mio avviso ha contribuito a determinare la fuoriuscita di un parlamentare molto capace come Emilio Carelli.

“Non possiamo dire di no a Draghi senza una riflessione di profondità, senza averci parlato e senza averlo ascoltato”. Le sue dichiarazioni hanno anticipato le scelte di Di Maio e Conte. Può dirci esattamente quanti tra Camera e Senato la pensano come lei?

Non ho dati aggiornati, ma oggi c’è un notevole ripensamento. Ieri meno di dieci colleghi la pensavano come me.

Conferma o smentisce che M5s sia già il partito di Conte e Casalino?

Di Conte lo è. Casalino lo vedo come una meteora.

Cosa pensa del contismo senza se e senza ma che viene dal Fatto Quotidiano? Ha ripercussioni sulle scelte del M5s?

È condizionante. È lo strumento ideologico per influenzare i “tifosi”, ma non alimenta il giudizio, il confronto critico, lo sviluppo di un movimento, di un dinamismo di pensiero e azione politici. Purtroppo Il Fatto è diventato la voce del potere, il megafono di una cultura leaderistica, esattamente come gli altri giornali che critica.

E sulla giustizia?

Dopo essere stato la grancassa di un eroismo giudiziario di creta, è l’organo di una visione giacobina della giustizia intesa come repressione, mai come rieducazione.

Le ultime scelte inducono a ritenere che Conte non intenda più farsi un suo partito, ma intenda prendere la leadership di M5s. È così?

Credo di sì. Però questo può essere un bene, anche perché Conte si è detto europeista e moderato. Vorrà dire che il Movimento avrà una trasformazione significativa. Anche perché a mio avviso si apre un grande spazio, di là dalle singole sigle, per un centro che guardi all’Europa, che voglia immetterla sui binari cristiani della solidarietà, della sussidiarietà e della cooperazione.

Meglio Di Maio, Conte o la Casaleggio Associati alla guida dei 5 Stelle?

Di Maio ha stoffa e Conte ne è già il leader. Tuttavia meglio un gruppo di persone, più che un singolo od un’azienda.

Nel M5s c’è una componente che non pare propensa ad accettare Draghi. Quanto contano e cosa faranno?

Nella vita si matura, si diventa adulti. È lo stesso in politica. I “no” a prescindere mi ricordano Bertinotti, che poi è scomparso dalla scena politica. Dire “no” è semplice, non costa fatica. Invece è molto più difficile leggere il presente e costruire il futuro.

E se volesse dire scissione?

La scissione è fisiologica in ogni movimento, perché c’è chi resta prigioniero della nostalgia e c’è chi invece vuole misurarsi con gli altri, con i problemi del tempo, con gli oneri, i rischi della responsabilità politica.

In questo momento e alla luce di quello che sta succedendo, per lei l’unità del Movimento è sacrificabile?

Sì. Ogni parlamentare rappresenta la nazione. È un fatto di coscienza politica, non di opportunismo. Ma la coscienza politica resta fuori del discorso di massa.

Dunque lei, alla luce del fatto che “non si può mandare il paese allo sfascio”, come ha dichiarato, sarebbe pronto ad assumere iniziative personali contrarie a quelle decise dalla leadership del M5s?

Sì, e l’ho già dimostrato. Per esempio votando contro la proroga dell’emergenza sanitaria quando non c’erano i presupposti e poi contro la riforma del Mes; contestando con forza il mancato aggiornamento del piano pandemico, i relativi silenzi del ministro Speranza, l’operato del commissario Arcuri, la gestione governativa della sanità calabrese, la nomina di alcuni vertici delle aziende del Servizio sanitario della Calabria e molto altro. Sono sempre stato dalla parte del popolo, anche se in grande solitudine. E con la testa, la faccia e il cuore sono sempre entrato nel merito delle questioni, rappresentandole ai ministri del Movimento. Purtroppo senza seguito. 

Zingaretti ha come obiettivo politico un’alleanza organica Pd-M5s. È la vecchia idea di Bersani, secondo la quale tutto sommato i 5 Stelle, visti dal Pd, sono compagni che sbagliano. È d’accordo?

Io credo che non bastino le parole. Nella prospettiva dell’alleanza serve un confronto, possibilmente aperto. Anche il Pd subisce lo schema delle correnti e dei rapporti di forza. E questo non aiuta. Anzi, nuoce.

Che errori ha commesso, secondo lei, il Conte 2 per essere arrivato alla crisi che ne ha sancito la fine?

Si è appiattito sulle chiusure. Dalla ricerca ai farmaci, dall’esperienza ospedaliera a quella universitaria, non ha pensato ad alimentare un sistema efficace per curare il Covid, su cui non ha voluto investire e scommettere. Inoltre non ha potenziato l’assistenza territoriale, non ha osato utilizzare misure straordinarie, anche sul versante burocratico, per l’emergenza pandemica che invece le richiedeva. Ha molto centralizzato la gestione del momento. Ha navigato a vista, tenendo a distanza la componente parlamentare. Inoltre ha creato confusione e confuso l’annuncio con l’intervento. Queste cose vanno dette, perché la verità è sempre la migliore medicina.

(Max Ferrario)

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