Ora che la nebbia incomincia a diradarsi, il profilo dell’unico candidato possibile, credibile, votabile da tutti, si staglia più chiaramente all’orizzonte e ha le sembianze inconfondibili di Mario Draghi.
Non è un caso che tutti coloro che cercano disperatamente di impedire la sua elezione a presidente della Repubblica abbiano improvvisamente alzato i toni della polemica. Vedono inesorabilmente le cose andare in quella direzione e capiscono che le conseguenze – che del resto ci sarebbero in ogni caso – molto probabilmente rischiano di travolgere i loro progetti futuri.
Tra questi in primo luogo c’è come al solito il manipolo dei renziani. L’assalto è partito quando hanno letto i tweet pressoché identici con cui Letta, Conte e Speranza hanno dato notizia del loro incontro. Ricevuto l’input, sono scattati all’unisono all’attacco dei tre paragonandoli ai piccoli nipotini di Paperon de’ Paperoni. Essi – i renziani – non solo sanno che il precipitare della situazione verso nuove elezioni ne sancirebbe la definitiva scomparsa, ma anche il semplice passaggio di testimone da Draghi ad una direzione più politica del governo vanificherebbe i loro sogni di gloria. O più prosaicamente, spegnerebbe l’ambizione di poter in qualche modo influire sulla spesa dei soldi del Pnrr.
Letta ha condotto la vicenda fino a questo punto con riconosciuta maestria. Verrebbe da dire, a proposito di giovani marmotte, “da manuale”. Il segretario del Pd non ha abbassato la guardia quando il centrodestra si è piegato alle ultime volontà di Berlusconi, ma non ha spinto oltre misura la polemica, lasciando sempre aperta la via del dialogo con i due leader “operativi” del centrodestra, Salvini e Meloni.
Letta ha anche recuperato rapidamente le piccole crepe apertesi verso il suo nuovo alleato pentastellato per colpa ancora una volta dell’ipertrofia dell’ego di Goffredo Bettini. Non contento di aver affossato il povero Zingaretti, il sommo “pensatore” romano ci sta provato con Conte, ultima vittima in ordine di tempo dei suoi “sussurri” interessati. Bettini è forse, riannodando i nastri della storia di questi ultimi due anni, il principale responsabile della fine del Conte 2, il propugnatore dell’illusorio accordo in extremis con Renzi per il Conte 3, l’ideatore dell’indecorosa – nonché fallita – operazione centrista al Senato. Ora spinge per far saltare la candidatura di Draghi, non si capisce bene con quale obiettivo. Non solo Letta ma anche Conte – e lo diciamo per il loro bene – dovrebbero prendere le distanze da Bettini.
I 5 Stelle sono ad una nuova difficile prova. L’inchiesta che riguarda il suo fondatore e garante Beppe Grillo sembra ora allargarsi ad altri esponenti (anche alcuni ministri) coinvolti nelle vicende della Moby Lines di Onorato. Ironia della sorte il tutto accade per una legge voluta dal M5s (quella contro il traffico di influenze) e per mano di un’inchiesta che ha in comune le vicende della fondazione Open dell’acerrimo nemico Renzi. Anche in questo caso è difficile prevedere gli sviluppi, ma un nuovo macigno si è frapposto tra Conte e il suo tentativo di tenere in vita il Movimento.
Il punto da definire rimane quello dell’assetto del nuovo governo. Il braccio di ferro è tra chi vorrebbe conservare una direzione tecnica e chi punta a riprendere una più chiara funzione di controllo dei partiti. Qui Letta è atteso al suo più difficile banco di prova. Sarà in grado di far digerire ai suoi – Orlando e Franceschini in particolare – una direzione del governo più “politica” ma necessariamente espressione di uno dei partiti più grandi presenti nell’attuale parlamento?
La mossa più giusta sarebbe, ad esempio, sostenere un ministro di provata capacità come Giorgetti. Una mossa del cavallo, appunto. In grado di spiazzare amici ed avversari ed aprire – a meno di un anno dal voto – una competizione elettorale tra alternative diverse ma non più contrapposte, come è sempre avvenuto negli ultimi 30 anni.
Enrico Letta, che dal suo insediamento alla guida de Pd non ha perso uno scontro, compreso il seggio romano vinto dalla D’Elia, ha dalla sua il vantaggio di partire con in tasca, in ogni caso, un buon risultato: con l’attuale risicato 11% di parlamentari potrebbe realisticamente pensare di concorrere non solo per essere nel futuro parlamento il primo partito, e accontentare molti pretendenti al seggio, ma di ribaltare l’esito della contesa e acciuffare una vittoria che solo un anno fa sembrava impossibile. In quel caso riceverebbe in eredità, ciò a cui sembra destinato sin da ragazzo, lo scettro da Mario Draghi, l’uomo della provvidenza, che nel frattempo avrà avuto modo di ambientarsi nelle oltre trecento stanze del palazzo sul Quirinale.
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