Puntuale e sorridente Enrico Letta ha introdotto ieri mattina la prima riunione della direzione nazionale del Pd dopo che Mattarella ha indetto le elezioni per il 25 settembre. Il segretario ha indicato la strategia – sulla tattica, a microfoni accesi, è stato un po’ vago – con cui intende affrontare la battaglia elettorale, sciogliendo alcuni nodi che molti osservatori avevano indicato come problemi aperti per il Pd.



Prima di giungere al tema delle alleanze – l’unica cosa che sembra interessare i più – Letta ha dettagliatamente illustrato il suo piano d’azione per la campagna elettorale, dai 100mila volontari coordinati dalla giovane segretaria milanese Silvia Roggiani alle feste dell’Unita (già 600 in programma, ma diventeranno molte di più), dal programma scritto con chi ha partecipato alle Agorà, all’iter per la formazione delle liste e la scelta dei candidati nei collegi. La lista Pd avrà come claim la scritta “democratici e progressisti”, la qualcosa consentirà di aprirla a tutti coloro che hanno partecipato alle Agorà, a cominciare dal partito di Speranza Articolo Uno.



Il segretario del Pd è apparso sereno e con le idee chiare, si è concesso qualche battuta (“non ho avuto la fortuna di partecipare alla direzione che preparò le liste nel 2018, ma posso assicurarvi che nulla di quello che accadde allora si ripeterà”) e ha detto a chiare lettere che si rispetterà la parità uomo-donna e che non vi saranno “paracaduti” e protezioni per chi sceglierà di andare nei collegi e rischiare la sconfitta.

Letta ha chiarito il suo pensiero sul “Rosatellum”, una legge che giudica pessima e che non serve a costruire coalizioni ma solo accordi elettorali. Per questo si è fatto dare un mandato esplorativo per incontrare nei prossimi giorni le altre forze di centro e di sinistra (nel pomeriggio ha visto Di Maio e Sala) e valutare se ci sono le condizioni per eventuali alleanze elettorali. Il Pd pone tre condizioni: che ci sia disponibilità a dialogare, che si abbia sostenuto lealmente Draghi e che non si mettano veti sugli altri.



In conclusione, l’impressione è che il Pd si appresti ad andare da solo allo scontro con Fratelli d’Italia. La battaglia tra i due principali partiti è aperta e Letta dà molto peso alla coesione solo apparente del centrodestra. Denuncia i limiti di una coalizione che non è d’accordo quasi su niente e che pretende di governare l’Italia in uno dei momenti più difficili della nostra storia.

Il gioco di Letta ricorda un po’ il vecchio catenaccio difensivo in cui eccellevano le squadre di calcio italiane: tutti dietro la palla e davanti alla porta, marcamento ad uomo e contropiede. Letta aspetta l’errore dell’avversario e intanto piazza le sue truppe e cerca di motivarle. In particolare ha chiesto ai dirigenti locali di scegliere ad uno a uno i candidati nei 30 collegi al Senato e i 60 alla Camera che decideranno l’esito della battaglia. Saranno loro, in un cruento corpo a corpo, a dover rosicchiare all’avversario quel 4-5% utile a vincere. Entro il 2 agosto i segretari regionali devono portare i nomi, che saranno sottoposti poi al vaglio della direzione.

Letta concede in questi giorni molto poco alla polemica. Sorvola sulle sortite di Calenda, lascia cadere nel vuoto gli appelli risentiti di Renzi, non intende dare seguito alle polemiche di Conte. “Se lo volete sarò il vostro front-runner”, ha dichiarato alla fine del suo discorso. Occhi di tigre e biglietto aereo per Parigi in tasca, pronto ad affrontare un difficile nemico che parte in vantaggio, con dalla sua la serenità di chi un lavoro ce l’ha già e non campa solo di politica.

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