Come molte cose oggi in Italia, anche il caso Scurati-Rai è finito in cavalleria. Dopo settimane di accuse e sospetti, i vertici aziendali hanno sostenuto che non ci fu alcun atto di ostracismo nei confronti dello scrittore Antonio Scurati, il noto autore della famosa trilogia su Mussolini. Anzi, evocando regole di policy aziendali, hanno annunciato provvedimenti nei confronti della conduttrice Serena Bortone, che avrebbe dovuto ospitarlo nella sua trasmissione.
Si chiude così la penosa vicenda scoppiata alla vigilia del 25 aprile, quando la conduttrice comunicò via Twitter che con una mail l’azienda le aveva ordinato la cancellazione della presenza dello scrittore. Almeno questa è la versione della presidente della Rai Donatella Soldi, ascoltata l’altro giorno dalla Commissione parlamentare di Vigilanza. È la stessa Soldi che aveva avuto parole assai critiche verso la direzione dell’azienda quando la vicenda esplose, richiedendo a gran voce una indagine interna. Parole evidentemente rimangiate senza battere ciglio, in nome forse della remota possibilità di vedersi riconfermata nell’incarico dall’attuale maggioranza.
La vicenda – come abbiamo detto – avrà come unica conseguenza la chiusura del programma della Bortone, nonostante i risultati di ascolto (in linea con i livelli della terza rete in quella fascia di orario) e qualche dichiarazione di sostegno di colleghi e di personalità del mondo della cultura nazionale. È probabile che la giornalista, molto legata ad alcuni ambienti Pd, in auge prima dell’arrivo della Schlein, abbia calcolato male la reazione dell’azienda o, più verosimilmente, abbia cercato coscientemente l’incidente diplomatico con i vertici aziendali, con lo scopo di conquistare così un ruolo da protagonista nel fronte di lotta aperto tra il mondo dell’informazione e dello spettacolo e la Rai e il Governo. Sperando anche in un sostegno più forte del Pd, che però non è arrivato.
Lo stesso Scurati ha goduto di un eccezionale periodo di notorietà, assai superiore a quello che avrebbe prodotto la partecipazione alla trasmissione incriminata, e l’appello che doveva leggere in Rai è stato poi diffuso capillarmente ovunque. Il fronte di opposizione al Governo ha poi avuto nelle giornate del Salone del Libro di Torino una cassa di risonanza significativa. Quello che è certo però è che siamo in piena sindrome da “al lupo, al lupo”, che sta contagiando vasti settori dell’intellighenzia nazionale, alimentando il coro di allarme per il “pericolo fascista”.
Inutile dire che sia la Meloni che tanti esponenti del suo governo fanno a gara nell’accendere la polemica. L’obiettivo dichiarato è cogliere l’occasione della destra al governo per aiutare la cultura revisionista a imporre una diversa lettura del ventennio e di tanti episodi che segnarono lo scontro ideologico nel nostro Paese nella seconda metà del secolo scorso. Detto questo, è bene che il tema cominci ad essere affrontato per quello che è. Nessuno dovrebbe oggi mettere in discussione la legittimità a governare dell’attuale maggioranza, ma questo non può significare che si debba accettare senza combattere qualsiasi modifica sostanziale alle norme e alle procedure che regolano le libertà delle persone e la libera circolazione delle idee.
Chiarito questo aspetto essenziale, resta poi la questione più corposa, e cioè il tema della violenza politica come essenza del fascismo. Siamo oggi in presenza di uso della violenza in politica nei confronti di chi la pensa diversamente? Possiamo sostenere che c’è stato qualche caso in cui le forze dell’ordine hanno protetto o tutelato chi si rende responsabile di tali comportamenti? Onestamente non mi pare che siamo a questo punto. E questo è un aspetto dirimente, in Italia e in Europa, per considerare il pericolo fascista un pericolo reale.
A questo aspetto – ovvio ma non scontato e che giova ripetere – se ne può aggiungere oggi un altro altrettanto importante: i fascisti tendono in generale a non rispettare il responso democratico, e a non andarsene quando perdono. Mi sembra che fino ad oggi ci sia stato da parte di tutti i protagonisti delle nostre istituzioni un rispetto totale della volontà degli elettori, e così deve rimanere. Consapevoli del fatto che questo è un punto decisivo, che segna la distinzione tra democrazie e dittature, e che la prima grande regola è garantire la libertà di voto e la correttezza di chi è preposto a contarli. Non è un tema scontato, basta vedere cosa è successo negli Stati Uniti 4 anni fa e che tanti temono che si possa ripetere. Tutto questo per spiegare ad una gran fetta di elettori che se pensano che il fascismo è alle porte vuol dire che non è arrivato il momento di scendere in piazza ma di tornare a votare.
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