Enrico Letta ormai è temuto come se fosse un Edmond Dantès dei giorni nostri. I capi corrente tremano di fronte alla risolutezza del “papa straniero” fatto rientrare in gran fretta dalla Francia per salvare la ditta. E se sette anni fa fu defenestrato con l’accusa di essere troppo lento ed indeciso, oggi il professore si è dato un ritmo da scattista, vuole fare tutto quel che serve, presto e bene. Il suggerimento ricevuto da Romano Prodi coincide con il suo pensiero: rimettere subito in sesto il Pd, non concedere nulla alle correnti che si devono accomodare al suo nuovo disegno.
La battaglia per cambiare la direzione dei gruppi parlamentari deve essere di insegnamento per tutti. Nessuno ha più potere di veto, non contano più i numeri degli iscritti alle correnti, agitati come minaccia, ma le idee. Provateci a votarmi contro, sembra dire il nuovo segretario. Così se Delrio, capita la malaparata, ha ceduto subito il passo, Marcucci ha provato a resistere, a passare per vittima e rimanere aggrappato alla poltrona di capogruppo, ma è stato scaricato in poche ore proprio dalla sua stessa corrente. E così nei prossimi giorni la senatrice lombarda Malpezzi ne prenderà il posto. Più incerto l’esito alla Camera, anche se sembra che Delrio sia riuscito a far prevalere nella consultazione il nome della Serracchiani. Forti malumori dal fronte AreaDem, la corrente di Franceschini, rimasta questa volta fuori dai giochi. Non male per chi ha lavorato ai fianchi la precedente gestione di Zingaretti.
Letta ieri ha incontrato Conte. Una mossa che da sola indica molte cose. Che intanto Letta non ha intenzione di attendere i templi biblici dei 5 Stelle ogni volta che devono prendere una decisione. Del resto il non-statuto del Movimento lascerebbe alla piattaforma Rousseau il compito di sciogliere i nodi ormai divenuti politici. Conte vuole evitare il contenzioso con la Casaleggio, ma da avvocato non può escludere a priori lo scenario peggiore. Conte ha detto a Letta che la sua scelta di accettare l’invito di Grillo di assumere la guida del Movimento è irreversibile. Con buona pace del prode Casalino che immaginava per il suo ex capo a Palazzo Chigi un destino diverso. Ma il partito di Conte è abortito la sera stessa della caotica riunione del Senato che si concluse con una fiducia ferma a 157 voti. Non aver trovato quei 5 voti mancanti per garantire al Conte 2 una maggioranza stabile, ha affossato anche il sogno di dar vita ad un proprio partito “ago della bilancia” tra 5 Stelle e Pd.
Via libera dunque a candidati comuni a Napoli e a Torino, convergenza anche su Milano e Bologna. Resta il nodo Roma, ma tutti sanno che la soluzione è a portata di mano. Letta ha offerto a Conte il sostegno leale del Pd per ottenere l’ingresso nel gruppo del Pse al Parlamento europeo. Non un passaggio di poco conto, se solo per un attimo rimettiamo gli orologi indietro di tre anni e pensiamo allo scenario di quando a capo del Pd c’era ancora Matteo Renzi. Infine, la legge elettorale. Letta non accetterà mai un ritorno al proporzionale, ma è l’unico nel Pd che crede utile un ritorno al voto di preferenza. Per questo ha bisogno del sostegno dei 5 Stelle, e la cosa non dovrebbe dispiacere al nuovo leader del Movimento.
Il nuovo segretario del Pd sta conducendo le operazioni sul campo con una determinazione inaspettata. Vincere la battaglia dei vaccini e riportare il paese alla normalità aprirà nei prossimi mesi sicuramente scenari nuovi. Se le amministrative dovessero dare ragione al suo progetto, le elezioni nella primavera prossima dovrebbero a questo punto essere abbastanza certe. Dopo aver messo in sicurezza il Quirinale nelle mani di Draghi.
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