Il Pd deve fare attenzione. In queste ora si sta mostrando con una pelle diversa dalla sua natura solida di partito affidabile di governo. Se prima, infatti, uno come Francesco Spano, scelto da Giuli come suo capo di gabinetto, sarebbe stata una medaglia da mostrare con orgoglio, oggi, in molti nel Pd, vedono nella nomina un gesto di allontanamento di Spano e non un atto di debolezza della maggioranza. E pure aver recuperato Abino Ruberti, che tornerà alla corte romana di Gualtieri, non depone bene. Pare di capire che nel Pd romano sia rimasto poco della sua vecchia natura di forza progressista con una solida schiera di “classe di governo”. Se non si trova altro in giro se non Ruberti vuol dire che poco è rimasto, e se si “regala” Spano, senza rivendicarlo, vuol dire che i vecchi legami sono sciolti e privi di ogni capacità di creare, per il futuro, nuovi percorsi per gestire la macchina pubblica.
Del resto, anche la vicenda De Luca è del tutto anomala. Il presidente campano ha compreso che contro di lui non c’è altro che una spiccata insofferenza dell’attuale segreteria, che lo vede come un vecchio arnese da buttare via. Pur avendo gestito non male la Campania. E così, mentre si recupera a Roma chi si era dimesso per le urla in strada, si affossa altrove chi non viene ritenuto più in linea con il presunto nuovo corso. In questa schizofrenica gestione prevale un senso di smarrimento per molti protagonisti della vita del Pd, che non comprendono ormai quali siano le logiche. Le correnti stanno solo cambiando le loro facce, pur rimanendo in sella. Alcuni dei vecchi vengono messi fuori dai giochi mentre altri si recuperano, chi è valido e capace viene lasciato tra le braccia del nemico senza neppure un cenno o una mossa politica che capitalizzi il fatto che uno dei “nostri” è stato riconosciuto come il più bravo.
Pare, a dirla tutta, che il Pd sia diventato un partito come gli altri. Fatto di un gruppo dirigente solitario che non ragiona più di potere e di poteri da governare, ma solo di voti da usare. Si badi che la differenza è enorme. Se il Pd ha avuto sconfitte e batoste, ha comunque mantenuto la sua natura ed il suo sostrato di classe dirigente. I voti potevano esserci o meno, ma restavano le capacità e gli uomini. Oggi si rottamano di fatto, alla Renzi, quelli che non vanno a genio senza neppure avere una logica, per quanto sbagliata, che premi il nuovo. È questo che vuole la Schelin?
A molti pare che dopo le europee, messa in cassaforte la sua leadership interna, si stia impegnando per rendere il partito fluido e meno solido. Più staccato dalle logiche di potere (vedi il caso Rai) ma al contempo creando delle occasionali amnesie della sua segreteria con le quali consente ad alcuni di fare quel che gli pare, anche se sono fonte di imbarazzo, mentre ad altri non si perdona di essere stati semplicemente in grado di fare il proprio mestiere. Un condotta la cui logica pare centrata solo sul rendere tutto fumoso, scarsamente comprensibile, poco nitido pure a chi appartiene alla cerchia stretta. Il Pd sembra stia andando verso una vera e propria perdita della sua storia, dei suoi punti riferimento, delle sue competenze. Chissà che non sia un bene, pensano alcuni ex amici, soprattutto alla sua destra.
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