Perché, se tutto crolla, non dovrebbe crollare il Pd (attuale)? La riposta la stanno cercando in parecchi e si declina con termini antichi. La “pluralità come valore”, “coltivare il dissenso nell’unità”, “unire sui valori di fondo”, insomma un armamentario lessicale che cerca di mascherare un momento di svolta epocale che sta maturando in tutte le forze politiche.
Ed il Pd non è immune. La nuova geometria internazionale crea figure geometriche di potenza inaudite e di tale profonda differenza dal passato da aver fatto smarrire ogni punto di riferimento. La parte più a sinistra che oggi comanda e tiene la Schlein in piedi se alza la testa fuori dal Paese è presa da un torcicollo insopportabile. A oriente la vecchia amica Russia si è trasformata in un’autocrazia, le grandi socialdemocrazie mitteleuropee sono talmente in crisi da aver abbracciato, in Germania, il piano di riarmo come svolta strategica.
Ma non va meglio a ovest. Francia e Spagna annaspano e oltre oceano ora si intravvedono solo nemici. Con chi sedersi a tavola e parlare di mondo, allora? Con pochi, o nessuno. La vecchia idea di un grande partito di massa dei lavoratori è in crisi profonda perché è poco chiaro chi sia il nemico. I padroni sono spariti anche dal dibattito pubblico, sostituiti da imprenditori sempre più piccoli di dimensione e più vicini ai problemi dei lavoratori che estranei alle loro dinamiche.
La grande finanza intenzionale, americana soprattutto, ha esportato il modello irresponsabile dei fondi di investimento, contro cui combattere è difficile ed anzi, per anni, il Pd ci ha chiacchierato e discusso, come tutta la politica italiana, invocandoli per investire e superare crisi di piccole e grandi aziende. Salvo scoprire che sono entità inaffidabili nel medio periodo.
Così i nemici da offrire ai lavoratori sono impalpabili, evanescenti e poco attrattivi. Oggi chi fa i soldi sfrutta algoritmi e social media molto più che i lavoratori. Perciò la leadership interna di Landini nel Pd detta un’agenda tutta scritta con date del Novecento senza avere una minima idea di dove andare nel 2026, figurarsi tra un decennio.
E questa crisi è aggravata nel Pd dalla perdita degli americani “buoni” come interlocutori. Appare chiaro a tutti che Trump non è un pazzo isolato, ma sta tracciando la nuova traiettoria degli USA a cui i democratici si aggregheranno.
Perciò anche i moderati cattodem, figli di Andreatta e delle elezioni “americane” di Prodi, sono senza bussola. Si dimena il partito tra voglia di rivoluzione, senza sapere contro cosa, e una vocazione istituzionale sempre meno spiccata. In Europa il gruppo è spaccato sul piano von der Leyen, e sul tema Ucraina, se si resta coerenti, si rischia di dovere diventare bellicisti ed a favore del riarmo, facendo venir la pelle d’oca a mezzo partito.
Anche la vice presidente del Parlamento europeo Pina Picierno è sotto attacco. Aver incontrato un think tank israeliano le è costato attacchi e insulti. Alla faccia del pluralismo e della diversità di opinioni.
Il punto è che il Pd è nato per tenere in vita due tradizioni culturali, quella comunista e quello cattolica di sinistra, che ora non hanno più risposte da dare, nessuna delle due, al nuovo modo ed alle nuove sfide. Neppure su cose semplici come ad esempio la politica industriale. Tema su cui il Pd ha avuto una qualche autorevolezza grazie ai suoi esponenti. Cosa ci vuole, al Pd, per dirsi a favore delle rinnovabili ovunque o a favore di un percorso verso il nucleare pulito per dare al Paese una prospettiva che oggi manca al Governo?
Neppure questo sembra alla portata. Tutti in attesa che la Meloni cada e che cambi il vento. Solo che ora siamo in una bufera impazzita che sta rivoltando il mondo e non basta aspettare che gli elettori ti vengano in braccio.
Il rischio è che, mentre si attende, l’aria violenta che spira dall’Atlantico faccia cadere tutti i veli e spazzi via ogni struttura che non sia solidamente in grado di offrire una rotta nuova e certa.
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