Draghi e Letta ormai si muovono come una coppia affiatatissima. Le loro mosse sembrano, all’interno di una strategia prestabilita, concordate fino nel dettaglio. Anche la correzione di linea – più sensibile alle spinte pacifiste – messa in atto in questi ultimi giorni ha trovato nei due leader italiani una simmetrica applicazione. Se Draghi ha infatti scelto lo studio ovale della Casa Bianca per dare voce alla preoccupazione degli italiani sui rischi insiti nell’escalation militare del conflitto, a Letta è toccato il compito di affrontare i partner europei e tranquillizzare gli alleati di governo in fermento.



Procediamo con ordine. L’evoluzione del conflitto e la crescente capacità dimostrata dall’esercito ucraino di respingere gli attacchi su vari fronti e di ottenere significativi successi militari come l’affondamento di alcune navi nel Mar Nero, hanno reso credibile l’ipotesi di una vittoria sul campo. Senza scomodare Davide e Golia, sono apparse oggettivamente in una luce diversa le dichiarazioni che vari esponenti americani ed inglesi hanno fatto in questi ultimi giorni con cui hanno espresso la volontà di spingere il conflitto fino alla sconfitta di Putin.



I rischi di una tale impostazione sono abbastanza evidenti, soprattutto perché collocano in una prospettiva diversa la decisione di fornire nuovi armamenti alle forze ucraine. Una cosa è aiutarli a difendersi, tutt’altro significato hanno questi aiuti se servono ad inseguire i russi fuori dal territorio ucraino. Di fronte a questa nuova situazione sul campo e ai rischi crescenti di trasformare il conflitto in una lunga guerra di posizione, Draghi e Letta hanno dunque deciso di cambiare linea e dopo avere per settimane spinto gli altri Paesi europei sulle posizioni più filo-americane e aver teso al massimo i rapporti con alcune forze di governo come i 5 Stelle e la Lega, hanno sterzato verso una posizione più chiaramente rivolta ad ottenere l’apertura di un negoziato reale. 



Letta sta poi svolgendo un interessante ruolo di apripista in Europa per avviare una revisione sostanziale dei trattati. È stato il primo tra i leader europei a sollevare il tema di una “confederazione” che non può più permettersi di riconoscere a tutti i membri il diritto di veto e che deve fare passi avanti verso una politica comune di difesa. Senza contare la necessità urgente di rivedere il patto di stabilità – sospeso con il Covid, ma che non ha più senso tenere in vita dopo anni di interventi massicci a sostegno dell’economia europea – e la riforma strutturale della politica energetica.

Letta ha trovato sostenitori di primo piano come Macron, Scholz, Sánchez e quasi tutti gli altri leader dei principali Paesi dell’Unione. Poco importa che i piccoli Stati abbiano già manifestato il loro inevitabile dissenso. L’Europa che uscirà dal conflitto russo-ucraino sarà molto diversa da quella conosciuta prima della pandemia e i Paesi principali devono necessariamente assumerne la guida e trovare un progetto all’altezza della situazione. Letta dimostra di essere l’unico leader italiano in grado di partecipare ad un tale progetto.

La sua crescente forza sul piano internazionale ha poi consentito al segretario del Pd di gestire al meglio anche le tensioni emerse in queste settimane tra le forze del centrosinistra. Nell’incontro con Giuseppe Conte non è stato necessario che i due leader modificassero la propria posizione, anzi la diversità – paradossalmente – ha contribuito a ben rappresentare tutte le posizioni, anche le più divergenti, presenti nello schieramento. 

Con l’allontanarsi quasi definitivamente dell’ipotesi di una nuova legge elettorale, Letta non intende incrinare l’accordo con M5s, né tantomeno indebolirne la leadership. Lo stesso non si può dire del centrodestra, che anche sul fronte della politica estera ha visto acuite le differenze al proprio interno.

Onestamente, non era così scontato immaginare un ruolo da protagonista per il nostro Paese in una crisi così difficile come quella che si è aperta con il conflitto scoppiato alle porte dell’Europa. Il merito è quasi interamente da ascrivere alle posizioni assunte da Letta e da Draghi, due personaggi che appena un anno fa non erano neanche nell’organigramma dei vertici della nazione. Ora spetta a loro gestire questa nuova fase, e questa è una buona notizia. Sono oggettivamente gli unici protagonisti in campo che possono godere della fiducia incondizionata di tutti. Rappresentano una possibilità concreta anche per Putin per trovare una via d’uscita onorevole. Per l’Italia sarebbe la prima volta nella sua storia ad essere chiamata a svolgere un ruolo decisivo.

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