Elly Schlein tira dritto. Un po’ per il coraggio incosciente dovuto alla sua giovane età, un po’ perché non ha tante alternative. Deve “tirare dritto” sulla strada tracciata alle primarie. Ogni “deviazione” da quel percorso – in altre parole ogni rinuncia a cambiare il Pd nelle sue incrostazioni di potere più profonde – non produce alcun risultato utile, la indebolisce e rischia di farle perdere il consenso di quella maggioranza “silenziosa” che la osserva e l’appoggia dall’esterno del partito.
Lei sapeva perfettamente che una volta eletta sarebbe stata gettata nella fossa dei leoni. Tutto è fuorché una sprovveduta. Nella lotta impari contro i felini devi seguire una sola regola: dividerli e combatterli uno alla volta. Mai farti prendere in mezzo nella trappola tesa dal branco. Da questo punto di vista la vicenda De Luca è esemplare. Il vecchio leone ferito ruggisce, urla, offende, sbraita e minaccia, ma è drammaticamente solo. Chi ha difeso il vecchio cacicco e la sua famiglia in questi giorni? Nessuno, perché è indifendibile nella sua smania di potere familistico. Eppure ci sono – sembra incredibile ma è vero – coloro che hanno discettano su quanto sia grave per la Schlein “perdere la Campania”. Addirittura Antonio Polito (sul Corriere del Mezzogiorno perché forse si vergogna a farlo sull’omologo giornale nazionale su cui scrive) critica la segretaria Pd perché a suo giudizio troppo sferzante nel suo modo di trattare il vecchio leader.
“Tirare dritto” per Schlein significa in sostanza vedere se alle prossime europee riesce a tirare fuori dal pantano il suo partito, elevarlo sopra quella soglia del 20%, sotto la quale il Pd si è inabissato con Renzi (2018) e con Letta (2022). Questo non significa che strada facendo qualche correzione non andrà pur fatta. In parte peserà – eh sì, se peserà – la stessa incapacità della maggioranza di centrodestra a massimizzare il suo vantaggio, dall’altra ci saranno altre “sconfitte”, come per la procreazione assistita, il salario minimo, la sfiducia alla Santanchè.
Eppure per un partito di opposizione le sconfitte non devono pesare, dovrebbero essere scontate, in democrazia vale la legge del più forte, valgono i numeri. Il punto è come si perde. E qui i temi sono due, immagino ben chiari al nuovo gruppo dirigente del Pd, ma su cui i risultati restano scadenti. E onestamente non mi preoccuperei più di tanto delle alleanze, non sono all’ordine del giorno a parte essere l’assillo di un ristretto gruppo di critici, e non vedo perché bisognerebbe occuparsene oggi.
Il primo tema riguarda invece il permanere di un certo squilibrio tra l’impegno per i diritti civili e e la capacità di dimostrare di essere ritornati a occuparsi dei più deboli dal punto di vista economico e sociale. Qui lo sforzo c’è stato, valga per tutti il tour nelle zone più disagiate del Paese (dalla Romagna alluvionata al Sud devastato e minacciato dal nord secessionista) e dall’impegno messo sul salario minimo. Ma c’è poco da fare, sui diritti civili ci si scalda ogni giorno di più, e sembra esserci una “manina” che ogni volta che si “raffredda” gira la manopola e rimette la temperatura verso l’alto. Sarà perché poi succede che nel tal Comune è stata cancellata l’iscrizione di figli di coppie omogenitoriali, sarà perché il figlio viziato del Presidente del Senato finisce implicato in una storia di violenza sessuale, sarà perché scatta la frase omofobia dell’assessore di vattelappesca, il “tempo” mediatico dedicato ogni giorno a questi temi sopravanza di gran lunga tutti gli altri argomenti. Il Pd deve difendere l’Europa, le politiche per l’ambiente, i diritti civili. Gli tocca. Ma qui secondo me andrebbe fatta un’operazione di comunicazione “forzosa”, noiosa ma continua, fino al limite di provare ad acquistare “spazi” sugli altri temi, far vedere che ci si occupa anche di altro, che il disinteresse è colpa del mondo dei media che ama le risse e tende (qualcuno con dolo) a cancellare gli altri temi.
La seconda questione è più delicata e riguarda “il pericolo fascista”. È evidente che l’elettorato italiano non ha percepito questo pericolo in questi mesi e anche nello stesso centrosinistra domina ancora la percezione che la Meloni e compagni non rappresentino un pericolo immediato. Lo hanno declassato a danno minore rispetto a quello che è stato il “nemico” di questi ultimi trent’anni: il berlusconismo. Eppure riaffiorano con preoccupante intensità rigurgiti del passato, metodi di lavoro irrispettosi della prassi democratica, aspetti culturali e politici inquietanti, continue aggressioni verbali, tentativi di riscrivere la storia da ogni punto di vista. Valga per tutti il modo imbarazzante di certi commentatori di destra con cui utilizzano in tv e alla radio lo spazio – sempre più grande – che si sono pur legittimamente conquistato. Il tema ha una sua importanza, riguarda l’Europa e la collocazione dell’Italia, ma anche in zone decisive del Paese come il centro-nord potrebbe alla fine diventare l’argomento decisivo per far cambiare idea a molti.
Che Fratelli d’Italia disponesse di una classe dirigente mediocre e soprattutto insufficiente a coprire gli spazi di governo oggi disponibili per il primo partito italiano era chiaro dall’inizio. La velocità di accreditamento con cui tanti nella Pubblica amministrazione si sono accasati con FdI anche. Quello che sta emergendo è però un quadro di incompetenza, di ritardi gravi, di tentativi di condizionare pesantemente il flusso del danaro pubblico. Queste cose avranno un peso decisivo nei prossimi mesi almeno su due fronti: crescerà l’insoddisfazione del mondo economico, supino alla politica ma geloso della sua autonomia e dei propri interessi, e crescerà l’attenzione della magistratura, che ovviamente non aspetta altro.
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