Alla fine, la partita vera si gioca tra Roma e Napoli. Non perché le altre città chiamate al voto il 3 ottobre non siano importanti, ma le sorti future della coalizione Pd-M5s dipenderanno molto, quasi tutto, dalla capacità di non perdere l’occasione di governare insieme le due città più importanti del Centro-Sud.
In realtà Napoli rappresenterebbe per entrambi una conquista, dato che Pd e 5 Stelle sono stati all’opposizione delle oltre 28 giunte “rimpastate” con cui de Magistris ha retto la città per 10 anni nel più totale isolamento. Anche la riconquista di Roma per il Pd sarebbe una rivincita importante dopo i lunghi tormentati anni della giunta monocolore guidata dalla Raggi. I numeri dicono che nelle due città la vittoria è a portata di mano, e il centrodestra è in grande difficoltà a scegliere un candidato competitivo. Eppure l’aria che si respira è quella di bonaccia, la coalizione è ferma in mezzo al mare senza sapere bene se muoversi e verso dove.
Come sempre è una questioni di tempi. Lo scivolamento del voto ad ottobre ha evitato il rischio di andare a votare in piena campagna vaccinale. Ottobre si presenta come un mese importante per la ripresa delle attività, e ci si augura che il clima sia definitivamente cambiato al meglio. Letta ha potuto disporre di qualche mese in più per districare la matassa delle amministrative. La linea del segretario non ha lasciato dubbi e l’alleanza con il Movimento ha fatto ulteriori passi in avanti. Nonostante Conte tardi ad assumere il comando effettivo del Movimento.
A Napoli la candidatura di Roberto Fico è data ormai per certa. Gli stessi uomini di De Luca e i rappresentanti di Italia viva si sono accomodati al tavolo della coalizione con i 5 Stelle e hanno sottoscritto il documento programmatico comune. Solo un mese fa era impensabile. E si preparano ad “entrare” nella coalizione, puntando ad un buon risultato delle proprie liste per poi avere voce in capitolo in futuro. Non solo i sondaggi danno il presidente della Camera eletto sindaco a Napoli al primo turno, è l’umore della città che pende verso di lui: Napoli è una città dove chi parte “vincente” difficilmente perde. Così gli spazi per altri candidati si restringono praticamente a zero. Senza contare che né Bassolino, né la Clemente ipotizzano passi indietro.
La soluzione napoletana dovrebbe – e il condizionale è d’obbligo – servire su un piatto d’argento l’accordo romano. Lo stesso Zingaretti si aspetta che dal Movimento si prenda atto che l’accordo su Roma è molto più importante delle impuntature della sindaca uscente. Ma il tempo stringe e la pazienza non può essere l’unica arma a disposizione. Letta ha deciso di mettere pressione a tutti, dando inizio alle procedure per le primarie, che lancerebbero la candidatura solitaria di Gualtieri.
A favore della Raggi giocano alcuni sondaggi che la danno oltre il 20%. La tesi è che nei quartieri più popolari lei sia molto amata, a differenza del centro storico benestante, dove è considerata la sciagura in persona. Come si può spiegare questo dato? Senza un candidato forte del Pd e con Calenda, pariolino alquanto antipatico in periferia, che si sente già sindaco, la Raggi ha gioco facile a parlare alla pancia dei suoi elettori che ancora non hanno dimenticato gli anni del “grande esproprio” di mafia capitale. Anche se sa benissimo che in un eventuale ballottaggio rimane la candidata in assoluto più debole.
Zingaretti è stato molto chiaro e ha posto due condizioni: la prima, convincere la Raggi a passare il testimone, secondo, non votare insieme per la Regione. Riusciranno Letta e Conte nell’impresa? Apparentemente sembra impossibile, ma cosa concretamente può impedire l’accordo ancora non è chiaro. Offrire alla Raggi un ruolo nazionale? Forzare Zingaretti a scendere in campo comunque? La soluzione fin qui proposta, e cioè far rientrare Roma in un accordo nazionale solo per il secondo turno ha il sapore di un pilatesco lavarsene le mani. Con tutti i rischi del caso.
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