Quali sono i tratti che rendono la “vicenda pugliese” cosi speciale, così importante per i nostri osservatori politici e per i leader nazionali di destra e di sinistra, che hanno deciso di darsi battaglia senza esclusioni di colpi?
Sicuramente la prossima scadenza elettorale (8 e 9 giugno 2024) per decidere il nuovo sindaco di Bari. C’è chi, a destra, deve aver pensato che il capoluogo pugliese potrebbe tornare contendibile. Ma forse hanno avuto un ruolo maggiore le aspirazioni “nazionali” di Decaro ed Emiliano, per cui evidentemente molti protagonisti della scena nazionale, questa volta a sinistra, si sono affrettati a bloccare sul nascere la loro ascesa. O può aver giocato il desiderio di vendetta di qualcuno, come nel caso di Renzi, che si è apprestato, nel rinvangare il loro rapporto burrascoso, a dichiarare che “Emiliano è il vero responsabile di questo sfacelo”.
Tutto questo per quattro mariuoli? Nessuno mi toglie dalla testa, però, che il riaprirsi di una nuova stagione “giudiziaria” che riguarda la politica italiana (perché non c’è solo Bari e la Puglia, vedi le cronache politiche del Piemonte, di Palermo, di Anzio, e di altre in arrivo, senza contare la Santanchè) ha un baricentro fuori di essa, rimanda piuttosto a scelte controverse di questo Governo in materia di giustizia e di Pubblica amministrazione, e chiama in causa la stessa magistratura. Quello che appare subito un elemento distintivo della vicenda pugliese rispetto a tutte le altre – e se possibile, questo sì, la rende più grave – è proprio l’appartenenza di Michele Emiliano alla stessa categoria degli inquirenti. Come sappiamo egli si è sempre rifiutato di dare le dimissioni dall’ordine e a più riprese ha paventato la possibilità di ritornare a svolgere il suo vecchio lavoro.
Quindi quello che fa un certo effetto rispetto a ciò che accade nei palazzi del potere a Bari è proprio il venir meno – dopo due decenni di assoluta capacità di controllo – del ruolo del presidente della Regione, che proprio in qualità di “magistrato in aspettativa” ha svolto e svolge una funzione, diciamo così, di garanzia, sia per chi faceva politica con lui, anche se proveniva dalla destra, sia verso i suoi ex colleghi. Cosa si è rotto, allora, all’improvviso in questo equilibrio?
C’è una scena nel settimo episodio della famosa serie tv della Disney+ Shōgun che mi ha suggerito una possibile spiegazione. Il fidato Toda Hiromatsu, generale che ha servito per oltre 50 anni il suo signore Toranaga, per dimostrare al nemico che la volontà del suo comandante di arrendersi è reale, durante un confronto pubblico, dopo aver dichiarato il suo dissenso verso questa scelta, si toglie la vita facendo harakiri, come usavano fare i vecchi samurai giapponesi. Toranaga accetta il sacrificio del suo fedele amico, contenendo a stento una lacrima. Ecco, uso questa metafora per dire che ho l’impressione che qualcuno abbia voluto sacrificare la pedina “Puglia” al fine di dare credibilità e forza a qualcosa che sta per accadere.
In altre parole, penso che la Puglia sia un cavallo di Troia per stanare quelli che in questo momento sono i soli e veri nemici della magistratura (esentatemi dall’elencare qui i numerosi provvedimenti assunti dall’attuale Governo e quelli che ha intenzione di prendere, e verso i quali cresce una unanime irritazione da parte di tutte le correnti). Per cui la furia giustizialista in cui si sono cimentati i leader del centrodestra non è altro che un clamoroso boomerang, che tornerà loro sulla testa quando altre inchieste (ben più gravi e che coinvolgeranno questa volta i loro vertici nazionali) si presenteranno. E sarà difficile, a quel punto, impugnare l’arma della faziosità della magistratura, visto quello che essi hanno fatto alla sinistra in questi giorni. E se la impugneranno saranno assai meno credibili, visto gli argomenti usati e l’abbandono di ogni posizione garantista.
Anche il ruolo di Conte appare in questo contesto quello “dell’utile idiota”. Che senza capire cosa sta realmente accadendo, spara ad alzo zero contro i suoi stessi alleati, a costo di perdere così “capre e cavoli”, costringendo alle dimissioni il suo assessore. Come abbiamo visto, la Puglia in realtà è ormai un caso isolato (insieme al Piemonte). Sono infatti le uniche due Regioni dove l’alleanza con il Pd o non è andata avanti o rischia di frantumarsi, mentre nell’80% dei casi si è giunti a un accordo che nessuno si è sognato di mettere in discussione. In ogni caso della Puglia è probabile che si parlerà di meno nei prossimi giorni, sovrastate dalle altre inchieste dello stesso tenore o addirittura ancora più gravi.
Di mazzette e di corruzione in Italia non si è mai smesso di parlare, purtroppo, e nell’epoca delle videocamere a ogni angolo di strada e del controllo sui nostri smartphone, non bisogna poi meravigliarsi se queste vicende riemergono alla luce ora, a due mesi dal voto. Così come chi amministra una piccola o grande città del Sud sa perfettamente che non può difendersi in alcun modo dalle conseguenze di una stretta di mano o di un selfie, e sono alte le probabilità di cadere nella trappola di incontrare un parente o un amico di un boss della locale cosca criminale.
Infine, c’è il Pd, che come sempre deve affrontare difficoltà di cui farebbe volentieri a meno. Nel nostro caso la giovane segretaria Schlein deve tenere dritta la barra del rinnovamento, imporre a Emiliano una rottura di discontinuità con il trasformismo, senza cedere alla tentazione di colpire solo i suoi avversari interni (e in Puglia sta dimostrando di saperlo fare). Non si può concedere spazio invece a chi vorrebbe una levata di scudi a difesa della categoria degli amministratori locali, che si considerano oltraggiati da Conte. L’operazione di rinnovamento riguarda anche loro, oltre alla vecchia guardia, che pensava di svernare durante gli “anni di opposizione” acquattandosi all’ombra del potere locale e nei gangli del sistema delle nomine pubbliche. Una generazione ha fatto il suo tempo e deve passare la mano. A prescindere dalle sciocchezze che va dicendo l’avvocato del popolo.
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