Elly Schlein deve fronteggiare in queste ore la sua prima “crisi” da segretaria del Pd. Però più del voto negativo raccolto nei ballottaggi di domenica e lunedì scorsi sembra pesare nei suoi confronti una ostilità maturata nelle redazioni dei principali giornali nazionali.
Osannata in modo eccessivo solo pochi mesi fa come la novità più rilevante nella politica italiana, ora sembrano sproporzionati gli attacchi e le critiche di oggi, quasi come se molti commentatori non avessero aspettato altro che le prime difficoltà per punzecchiarla. Il Corriere di ieri addirittura scomodava contro la giovane segretaria Pd in prima pagina un editoriale e il principale titolo di testa. Insomma, una crisi “mediatica” più che politica, e stavolta non c’entrano nulla le solite tradizionali beghe tra le correnti interne.
Se n’è accorto anche Carlo Calenda, che in un tweet di ieri faceva notare come sulla Schlein (ma secondo lui la cosa accade anche per la stessa Meloni) è in atto un tentativo degli “opinionisti” di montare critiche a sproposito. In una specie di gioco a dimostrare che basta poco per far cambiare il “vento”. Cosicché anche all’interno del partito qualcuno comincia a domandarsi se non ci sia in atto un piano calcolato per mettere in difficoltà la segretaria, qualcosa di “sponsorizzato” da ambienti esterni al partito. È proprio in queste situazioni che – si sussurra al Nazareno – non bisogna farsi usare come “utili idioti”.
Tra i principali imputati a diventare il capro espiatorio di questa crisi con il mondo dell’informazione c’è il quasi sconosciuto capo ufficio stampa del Pd. Si chiama Flavio Alivernini.
Alivernini ha incontrato la Schlein nel 2020 quando, mediante Filippo Sensi, ex capo della comunicazione di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, viene presentato alla neoeletta vicepresidente della giunta regionale dell’Emilia-Romagna. Con la nuova segreteria è entrato di diritto nel “cerchio magico” responsabile del nuovo corso. Sono imputate a lui alcune tra le scelte più discutibili di questi mesi: come rilasciare la prima intervista della Schlein a Vogue (quella diventata famosa per la battuta sull’armocromista), o rifiutare i numerosi inviti a far comparire la segretaria in tv, o ancora come litigare con alcuni importanti giornalisti, che ovviamente si devono essere risentiti di questo trattamento eccessivo e arrogante.
È evidente che in queste ultime settimane hanno avuto un certo peso anche una serie di avvenimenti che hanno rivelato una scarsa capacità della nuova segreteria di prendere posizione con chiarezza. Anche le sconfitte maturate con il secondo turno amministrativo hanno giocato a sfavore, ma bisogna per onestà ricordare che non c’è voto meno politico di un ballottaggio, dove pesano i candidati (che in generale favoriscono il centrosinistra).
Quello che però sta pesando di più è la difficoltà a far percepire la svolta nella linea politica. Non sembra esserci molta differenza tra il Pd di Elly Schlein e quello di Zingaretti e di Letta. Un partito ancora troppo schiacciato nella difesa ad oltranza dell’Unione Europea (come sull’attuazione del Pnrr), o sui diritti civili e sull’ambientalismo elitario che piace tanto ai cittadini delle Ztl, un partito che parla di patrimoniale ma è ancora troppo lontano dai settori più disagiati e dalle numerose questione economiche e sociali aperte nel Paese.
Suggerimenti utili in questi casi sono sempre difficili, e soprattutto non sembrano richiesti. Il tratto dell’autosufficienza sembra dominare questo gruppo dirigente. Ma sicuramente qualche correttivo è necessario e va approntato. Sia nella velocità con cui si interviene e si comunica, sia nella scelta delle priorità e dei temi su cui far valere il ruolo di forza di opposizione. Provando a “fare la svolta” sul serio e fino in fondo, sempre se si è capaci di farlo.
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