Fa decisamente bene Elly Schlein a non pronunciarsi sulla “querelle” tra Conte e Renzi. Dove vogliono portare i rispettivi partiti è compito loro, non certo della segretaria del Pd. Che a quanto pare non intende cambiare né il percorso né la strategia, che persegue con determinazione dal giorno della sua elezione. Del resto fino ad oggi ha avuto ragione lei. Piuttosto rischiano di rivelare la loro “irrilevanza” i due contendenti. Infatti nessuno dei due sembra al momento in grado di modificare granché il risultato delle prossime tre competizioni previste per l’autunno del 2024.



In Umbria e in Emilia-Romagna i candidati del centrosinistra si mostrano poco preoccupati. Stefania Proietti, la candidata umbra, ha dichiarato stamattina al Corriere che “c’è una grande coesione a livello regionale”. Michele De Pascale, il sindaco di Ravenna candidato alla successione di Bonaccini in Emilia-Romagna, afferma senza mezzi termini che la larga coalizione “in Emilia-Romagna invece non solo esiste ma si è anche allargata a circa 60 liste civiche”. Anche in Liguria Andrea Orlando – una volta accettata la sfida – ha troppa esperienza per non sapere che non era semplice archiviare la questione dell’appoggio dato da Italia Viva alle giunte del sindaco Marco Bucci, per di più diventato a sorpresa il candidato del centrodestra. E non poteva riuscire il tentativo di camuffare qualche candidato renziano in una delle tante liste civiche a suo sostegno. Quindi se poi, alla fine della fiera, Schlein porta a casa il 3-0 (dal 1-2 di oggi) che nessuno si aspetta, restano davvero poche carte in mano ai nostri due duellanti.



Giuseppe Conte è ad un passaggio decisivo della sua breve ma intensa carriera politica. Tra qualche settimana, nella prima assemblea congressuale del Movimento, andrà alla conta contro il fondatore Beppe Grillo. È probabile che ne uscirà vincente, grazie al consenso raccolto tra le truppe rimastegli fedeli, ma a che prezzo lo si potrà capire solo in seguito. È evidente che l’ex premier cerca di alzare la tensione con il Pd per convincere i più oltranzisti a fidarsi di lui. Operazione disperata. Dovrà dare fondo alla sua attitudine da azzeccagarbugli per spiegare il perché di questa tensione dopo che la sua linea di alleanza con il Pd ha portato a diversi successi locali, a cominciare dalla Sardegna, dove è stata eletta la prima presidente di Regione targata 5 Stelle. Così come la proposta di revoca della regola dei due mandati e la possibilità di cambiare il nome al movimento rendono di fatto il partito più in sintonia con un’alleanza strategica con il Pd piuttosto che predisposto ad un felice isolamento. Un merito possiamo però riconoscerlo anche all’avvocato del popolo, avendo egli messo la parola fine ad una delle peggiori definizioni di una coalizione di centrosinistra degli ultimi decenni, il famigerato “campo largo”. Non a caso coniata da Enrico Letta, leader sfortunato e perdente.



Matteo Renzi appare un uomo disperato. All’ennesimo tornante della sua intensa vicenda politica, cerca di celare la grande difficoltà in cui si è andato a cacciare. Falliti tutti i progetti perseguiti da quando, nell’agosto del 2019, lasciò il partito di cui era stato segretario per la stagione 2013-3016, cerca ora di tornare a casa. Doveva creare il centro riformista “alla Macron”, e non è riuscito neanche a raggiungere il quorum alle europee. Siede in parlamento grazie ai voti di Azione di Calenda, con cui sappiamo come è andata a finire. Ha tentato di sfondare a destra, ma è andato a sbattere contro il muro alzato dalla famiglia Berlusconi contro l’Opa lanciata su Forza Italia. Senza contare che un gruppo di fidati sostenitori, alla cui guida si è messo Marattin, già hanno dichiarato di non avere intenzione di seguirlo in questa ulteriore piroetta.

Cosa dovrebbe fare la Schlein? Ma nulla di più di quello che sta facendo, ovvero ricostruire con caparbietà il profilo del Pd intorno a chiari obiettivi programmatici (lavoro, sanità, autonomia differenziata, diritti civili, ambiente) sempre più importanti per convincere una parte di elettori della sinistra ancora delusi e sospettosi verso il suo partito a causa dei tanti anni trascorsi al governo. Ma soprattutto deve agire sapendo che solo lei ormai può guidare la coalizione di centrosinistra nello scontro con il centrodestra saldamente nelle mani della Meloni. Prenderà atto della fine del “campo largo”, espressione insulsa e priva di fascino e da lei mai usata, da mettere in soffitta insieme alla vecchia generazione che l’ha preceduta.

Tornando alle regionali, un problema potrebbe porsi solo in Liguria, anche se i sondaggi sembrano dare ancora un consistente vantaggio di 5/6 punti ad Orlando su Bucci. Non sarà certo questa volta la quota residua dei renziani a mettere in discussione il risultato, considerato che anni di spaccature e sospetti non potrebbero certo essere cancellati con un accordo sottobanco. Con buona pace dell’ex presidente Giovanni Toti, che continua a parlare della Liguria come se non ci fosse un’altro candidato, e finito decisamente in ombra.

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