Franceschini parla di rado e tutti sanno che, per quanto possa essere poco simpatico, non si possono ritenere le sue argomentazioni prive di senso logico. Stavolta ha sorpreso tutti, soprattutto i suoi amici della ex Margherita. Proprio nel momento in cui vecchi leader come Arturo Parisi e Luigi Castagnetti hanno alzato la voce, paventando addirittura la possibilità di uscire dal Pd nel caso venisse stravolta la “carta” dei principi su cui nel 2007 era nato il nuovo partito, l’ex ministro della Cultura ha rotto ogni indugio e ha reso pubblica la sua scelta: tra i quattro candidati alla segreteria lui voterà per quella più di sinistra e radicale.
Egli stesso non ha timore a spiegarne le ragioni in un’intervista al Corriere della Sera. Per Franceschini è arrivato il momento che un’intera generazione del Pd si faccia da parte, che quel vasto gruppo di esponenti dem che hanno avuto ruoli più o meno importanti – e in sostanza si riferisce a se stesso ma anche a Bonaccini e agli altri due candidati che occupano la scena da decenni – debba lasciare che il partito si affidi a giovani capaci e portatori di una forza radicale di rinnovamento come Elly Schlein, cambiamento indispensabile per riconnettere il Pd al suo elettorato di centrosinistra.
Franceschini ha anche indicato chiaramente nella fine del disegno maggioritario e nella necessità di competere apertamente con il nuovo partito dei 5 Stelle i nuovi compiti del Pd. La competizione che si è accesa a sinistra è un bene, ed è il frutto del lavoro svolto in questi anni dal Pd di Zingaretti, che è riuscito a trasformare quello che era stato durante la segreteria Renzi il principale nemico in un potenziale alleato.
Ai suoi vecchi amici che lo accusano di consegnare – in combutta con Letta – il Pd agli ex comunisti, riserva poi un commento tagliente: “È veramente una notazione surreale. Schlein rappresenta la sinistra moderna, non c’è niente in lei del vecchio armamentario ideologico del 900”.
A rafforzare la posizione di Franceschini si è aggiunta la voce dell’ex presidente del partito Rosy Bindi, che intervenendo con un articolo scritto in collaborazione con Franco Monaco nel dibattito aperto da Repubblica, si rivolge direttamente a Parisi per contestargli che è proprio “lo spariglio” di posizioni la cosa più positiva di questa fase tanto confusa del dibattito interno. “Che ex Popolari siano per una soluzione più movimentista e un posizionamento più di sinistra (Schlein); che altri ex Popolari per un Pd guidato da un pragmatico ex Pci-Ds (Bonaccini); che ex Ds stiano un po’ di qua e un po’ di là. Un rimescolamento, l’opposto del fantasma della scissione di Livorno”.
In effetti se si vuole essere positivi ad ogni costo questo “esplodere” in mille pezzi delle correnti storiche del Pd può essere considerato davvero il primo passo necessario per rompere le logiche di potere che hanno impedito in questi anni un dibattito serio, la valorizzazione dei migliori, la crescita di una nuova classe dirigente autonoma.
Più compatta appare invece la posizione della corrente Base riformista che fa capo a Luca Lotti e Lorenzo Guerini. Anche se decimata dopo la drastica selezione che gli uomini di Letta hanno fatto in occasione della formazione delle liste al parlamento, la corrente sembra l’unica in grado di mantenere la sua compattezza intorno alla candidatura di Bonaccini. E il basso profilo assunto dai suoi leader in questi giorni sembra dovuta più al calcolo di non danneggiare l’immagine del candidato, fin troppo esposto per il suo passato renziano, che da preoccupazioni sull’esito finale.
Resta da capire meglio, tra gli ex democristiani messi all’indice dai vecchi, il ruolo che intende giocare Enrico Letta e la sua squadra di fedelissimi. Il gruppo a lui più vicino è apertamente schierato con la Schlein. Marco Meloni e Francesco Boccia si sono anche esposti personalmente, accettando incarichi di primo piano. Ma sul piano locale si contano diverse defezioni, soprattutto tra gli amministratori locali, attratti dal progetto esplicito di “prendersi” il partito di cui sono protagonisti De Caro e Bonaccini. Così come sembra molto fredda l’accoglienza della giovane candidata in tanti ambienti della finanza e dell’economia, da sempre schierati al fianco dell’ex professore di Sciences Po.
Rimane dunque ora solo da conoscere le date effettive del congresso. Il 12 febbraio si voterà per eleggere i nuovi presidenti di Lombardia e Lazio e nessuno vuole che un’altra sconfitta renda subito difficile la vita della nuova segreteria. Aspettare qualche settimana non cambierà molto lo scenario dei prossimi mesi, presumibilmente dominati dall’infatuazione che sembra rafforzare il momento d’oro della nuova presidente del Consiglio e del suo partito. Siamo proprio sicuri che serva al Pd fare le cose in fretta e non convenga aspettare che si concluda prima la luna di miele?
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI