L’ultima in ordine di tempo è la protesta dei lavoratori di Rai Gulp e dell’intero settore dell’animazione per ragazzi, che in Italia rappresenta uno dei comparti più importanti al mondo. Renzi non smette di stupire. Fare almeno una battuta al giorno è il suo mantra, costi quel che costi. E non gli è parso vero poter perculare il suo nemico numero uno, quel Giuseppi, diventato da poco capo di quel Movimento che per anni lo ha bersagliato di insulti, e che lui, Renzi, si vanta di aver dimissionato e sostituito con il ben più blasonato mister Draghi. Di fronte alla insolita protesta di Conte per essere stato escluso dalla lottizzazione dei direttori Rai, non si è trattenuto dal suggerire di dargli la direzione del canale destinato ai bambini suscitanti la reazione risentita degli operatori che si sono sentiti denigrati.
La Leopolda numero 11 ha ormai assunto le sembianze di un congresso di partito, dove il capo parla ininterrottamente per ore. Tranne pochi ospiti illustri (ieri hanno preso la parola tra gli altri i sindaci Sala e Bucci) la partecipazione riguarda esclusivamente i militanti e i dirigenti di Italia viva. Che ovviamente non sminuisce il valore del numero delle persone presenti e le lunghe file del mattino per entrare nell’ottocentesca stazione fiorentina. Una volta la Leopolda era un luogo dove – vuoi per simpatia o per curiosità – si presentava la “meglio gioventù” del paese. Oggi è un raduno di partito, identica a tante altre manifestazioni, una kermesse di propaganda come quelle degli altri. E forse proprio per questo il suo destino è segnato e sono molti a pensare che quella di quest’anno sia l’ultima edizione.
La Leopolda intanto evolverà nella forma di una radio digitale, che dal 12 gennaio inizierà le sue trasmissioni “on air”. Ed è stato annunciato che ad aprire il nuovo palinsesto sarà la rassegna stampa di Roberto Giachetti, l’ex braccio destro di Rutelli e candidato a sindaco di Roma, poi sconfitto dalla Raggi, nel 2016.
Renzi ha deciso di usare l’ultima edizione per mettere a segno almeno due colpi. Per prima cosa organizzare una risposta mediatica all’attacco giudiziario subito in queste ultime settimane per i finanziamenti sospetti alla Fondazione Open. L’attacco della magistratura fiorentina ormai coinvolge l’intero gruppo dirigente di Italia viva e lascia presagire in futuro nuove tensioni e l’accrescere di nuovi sospetti. Nel primo discorso di venerdì sera ha accusato i dirigenti storici del Pd – da Prodi a D’Alema, fino a Bersani – di aver preso soldi da regimi ben più compromessi dei suoi amici sauditi e da imprenditori come Riva, il proprietario dell’acciaieria di Taranto. Una chiamata di correità che come è noto non porta bene.
Nel suo secondo discorso di ieri sera ha decisamente rincarato la dose. Renzi ha deciso di affrontare apertamente il processo mediatico e per quasi un’ora e mezza – facendo l’avvocato di se stesso – ha analizzato tutti i passaggi salienti dell’inchiesta, contestando apertamente al Pm di travalicare il suo ruolo quando considera la Fondazione una corrente di partito e di conseguenza pretende di considerare i contributi ad Open come un finanziamento illecito. Ma l’accusa più grave al magistrato è quella di aver violato la Costituzione, indagando un parlamentare senza le necessarie autorizzazioni.
Stamattina ci sarà il suo terzo discorso. Già questo fatto che un leader parla ogni giorno senza lasciare il minimo spazio anche agli altri esponenti segnala un certo nervosismo. Molti osservatori si aspettano oggi un’apertura significativa verso le altre forze di centro per dare inizio a quel processo di aggregazione di tutte le formazioni politiche che si collocano tra il Pd, che oggi appare saldamente alleato con i 5 Stelle, e la destra di Salvini e Meloni, uniti nonostante la diversa collocazione rispetto al governo Draghi.
Vedremo come Renzi pensa di poter superare le resistenze profonde che hanno impedito per anni il nascere di un partito di stampo liberale e riformista. E quanto possa effettivamente influire il prestigio di Macron come referente europeo di un tale raggruppamento. Quello che però insidia il suo progetto è il ruolo di Calenda, uscito molto rafforzato dalla lunga campagna elettorale romana, e su cui punta Letta affinché quest’area politica possa rimanere saldamente nel campo di centro-sinistra.
Renzi pensa – e lo dice – di poter svolgere lo stesso ruolo centrale avuto sette anni fa per l’elezione di Mattarella. Non ha a disposizione l’esercito di “grandi elettori” di cui disponeva nel 2015 e forse non ha neanche molti assi nella manica da giocare. La stessa carta Gentiloni – una volta accettata dal centrodestra – dovrebbe secondo i suoi calcoli acuire i rapporti tra il Pd e i 5 Stelle e far saltare l’intesa Letta-Conte per eleggere Draghi. Rivelando di fatto – e questa è una notizia – che la partita sembra concentrarsi ormai su questi due nomi.
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