Se Renzi ha fatto cadere con un sol colpo il muro che divideva da anni il Pd dai 5 Stelle, Beppe Grillo ha – con un piccolo video di pochi secondi – fornito materiale a sufficienza per trasformare quella che sembrava a molti una scelta meramente tattica, per di più dettata dalla paura, in una svolta dal profilo strategico e culturale. Si tratta di un invito esplicito ai giovani del Pd ad affrontare questa fase con maggior coraggio e più euforia, “visto che insieme stiamo cambiando il mondo”.
Cito Claudio Petruccioli perché riassume bene cosa sta pensando in questo momento una certa sinistra: “Questo di Beppe Grillo è un discorso che resterà. Un discorso da far ascoltare e riascoltare ai giovani, non solo del Pd, come esempio di capacità innovativa, a cominciare dal modo di pensare”.
C’è poco da aggiungere. Siamo in presenza di una delle svolte politiche più rilevanti degli ultimi decenni. Delle due l’una: o c’era qualcuno che la stava preparando nell’ombra da mesi, oppure la spinta delle cose in sé è andata molto oltre le azioni dei singoli protagonisti della vicenda. E se così fosse, dovremmo capire bene il perché.
Insomma, in meno di 30 giorni siamo passati dal peggior governo di destra, ispirato al più bieco nazionalismo in circolazione in Europa, al primo esperimento di un governo di sinistra che, mettendo da parte la ricerca inconcludente condotta per anni di un centro moderato e riformista, punta ad aprire una stagione di riforme ispirate alla più strana delle congiunzioni: quella tra la cultura europeista e progressista e quella populista di sinistra.
Niente male, per un paese un po’ sfigato come il nostro. I governanti di mezzo mondo sono lì con il fiato sospeso: riuscirà questo triplo salto mortale?
Ora però è lecito domandarsi, visto che fino a pochi mesi fa questi signori manco si parlavano tra di loro, a chi sia venuto in mente un’operazione del genere e se esiste una regia occulta.
Zingaretti era quello più vicino ad immaginare l’attuale scenario. Con molta prudenza, dal giorno in cui è stato eletto segretario, egli pensava ad un percorso non breve, di almeno tre o quattro anni, passando per una fase di opposizione comune. Sappiamo che era ed è il leader del Pd più vicino a concepire un’apertura verso il Movimento. Per questo motivo era stato oggetto di una vera e propria persecuzione da parte dei #senzadime. Ma nonostante ciò sicuramente non aveva previsto di fare tutta questa strada in poco meno di un mese.
Renzi ha fatto cadere la discriminante nei confronti dei 5 Stelle perché allarmato dall’avanzata trionfale di Salvini, e dal suo minaccioso ricatto verso il Parlamento. Stento a credere che il senatore fiorentino avesse previsto fino in fondo la piega presa dagli eventi, in ogni caso era per un governo a breve con i grillini, non certo voleva costruirci insieme un’alleanza strategica.
Sicuramente non lo aveva calcolato Salvini, convinto che le irriducibili divisioni interne al Pd gli avrebbe fatto gioco nella partita per sciogliere subito le Camere.
Non lo immaginavano né Conte né Di Maio, anche se il primo sembra con maggior “nonchalance” capace di interpretare il nuovo ruolo in commedia.
Forse Grillo covava da tempo l’idea di una svolta e non aspettava occasione più ghiotta per muovere le sue forze rapidamente verse una strategia decisamente più coerente con le sue origini di uomo di sinistra.
Le conseguenze di questa accelerazione saranno a breve visibili su scala politica locale e in ogni ambito dove la politica conta. Anche da questa angolazione – se leggiamo le cronache locali – sembra che non si aspettasse altro.
Si muove l’Umbria, ad esempio, dove un candidato civico già si dichiara pronto a rappresentare la nuova alleanza. Nella stessa ultima riunione della direzione del Pd – se ne è dato poco risalto – lo stesso Zingaretti ha spinto i suoi a lavorare per trovare intese con i 5 Stelle per le prossime elezioni regionali. E fatta eccezione per il solito bastian contrario De Luca, in ogni Regione dove tra poco si vota le cose si stanno muovendo in questa direzione.
Resta ora da capire se effettivamente in così poco tempo sono stati bravi a trovare una comune base programmatica. Sembra un’impresa difficile, visto che si sono duramente combattuti in questi anni proprio su punti importanti di governo.
E sapremo entro domani se è andata a buon fine la proposta di avere un governo senza vicepremier e soprattutto se Zingaretti è riuscito a lasciare a casa le vecchie glorie del Pd.
Una ventata di novità è la condizione minima – non doveva certo spiegarcelo Grillo – per ottenere quel vantaggio e quel credito che gli italiani sono sempre così generosi a concedere a chi si presenta con delle ragionevoli novità.