Non sappiamo se il 19 febbraio – o quando più ragionevolmente sarà convocato il popolo delle primarie, visto che il 12 dello stesso mese si voterà in Lombardia e nel Lazio – Elly Schlein sarà eletta prima segretaria donna del Pd; di certo diventerà la nuova leader della sinistra interna. E forse, da sola, questa è la novità al momento più importante della confusa e impalpabile fase di preparazione del congresso.



Aveva in qualche modo colpito lo scarso entusiasmo manifestato da Andrea Orlando nei confronti della candidatura della giovane parlamentare bolognese. Come non era passato inosservato il ritardo con cui altri esponenti della sinistra storica del Pd si fossero schierati riluttanti nella battaglia congressuale. Primo fra tutti la timida adesione di Goffredo Bettini, colui che in passato si era proclamato king-maker di almeno tre segretari del Pd (Veltroni, Bersani, Zingaretti) e che continua a sfornare libri per dettare l’agenda politica e culturale del partito.



Ma evidentemente i mal di pancia erano più profondi e ora stanno venendo alla luce. Il primo a dissociarsi apertamente è stato Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, renziano della prima ora, poi passato – per motivi generazionali e di amicizia – nella componente di Orlando. Ricci è diventato supporter di Stefano Bonaccini. Poi è toccato a Valeria Valente, che da pupilla di Bassolino aveva poi trovato asilo tra i renziani, che la ricompensarono con la candidatura a sindaco di Napoli proprio contro il vecchio leader nel 2016. Ritornata sotto l’ala protettiva di Orlando, non ha avuto dubbi a schierarsi per il presidente dell’Emilia-Romagna.



Infine allo scoperto è uscito l’altro giorno anche Gianni Cuperlo, ex candidato alla segreteria Pd nel 2013 contro Renzi, da qualche anno a capo di una piccola corrente – area dems – che ha il suo punto di forza nell’hinterland milanese e che l’ex portavoce di D’Alema gestisce in collaborazione con Barbara Pollastrini. “La sinistra ha molto da dire in questo congresso” – ha dichiarato Cuperlo – lasciando intendere che pensa di aggiungersi ai candidati al congresso.

Quello che si sta delineando è uno scontro generazionale molto forte all’intento della sinistra del partito tra chi auspica un rinnovamento profondo e chi invece vuol tenersi stretto il controllo politico sui piccoli nuclei di iscritti organizzati come un’enclave, a costo di perdere il congresso e tornare all’opposizione interna.

Il gruppo di sostenitori della Schlein – Provenzano, Sarracino, Merola, Majorino e la nuova leva di sinistra – sa ora che dovrà andare alla battaglia contando solo sulle proprie forze. Deve essere stato proprio Franceschini il primo ad avvertire che qualcosa stava succedendo nella corrente degli “orlandiani” e a provare ad aprirsi uno spazio politico nell’area dei “rinnovatori”. Infatti, come avviene sempre in queste situazioni, i “giovani” potranno vincere solo se troveranno prima sostegno tra qualche vecchio capo del partito e poi potranno giocarsela puntando alla mobilitazione dei simpatizzanti e degli elettori.

È vero anche che la vecchia guardia della sinistra interna avrà qualche altra gatta da pelare nei prossimi giorni. Le notizie che arrivano da Bruxelles non sono tranquillizzanti. In primo luogo si tratta di capire quanto sia profondo in Articolo 1 il danno provocato da Panzeri e le sue attività più o meno lecite. Ma di questo dovrà dare spiegazioni Speranza, se vuole che il suo ritorno nel Pd non sia macchiato da sospetti e dubbi.

Ma sono anche altri gli incroci che preoccupano. Non tanto quello con Andrea Cozzolino, che aveva già schierato i suoi in Campania con Bonaccini. Sicuramente lo scandalo che passerà alla storia come quello degli “assistenti parlamentari” – che contano molto di più degli stessi eletti nel parlamento europeo – lambisce altri esponenti della sinistra interna orlandiana, come ad esempio nel caso di Davide Zoggia. L’ex parlamentare veneziano ha avuto un momento di gloria durante la segreteria Bersani, tra il 2011 e il 2013, quando da responsabile di organizzazione era di fatto il numero due del Pd. Oggi la sua stanza di assistente parlamentare a Bruxelles è chiusa dai sigilli della giustizia belga e non è chiaro per quale motivo.

Insomma Andrea Orlando vede rapidamente sgretolarsi il castello di potere che gli ha consentito di fare il ministro quasi ininterrottamente dal 2011. D’altra parte se oggi molti leggono la crisi del Pd come il frutto di un ruolo di governo svolto a prescindere dal reale consenso popolare, chi più dell’ex ministro del Lavoro può essere indicato come l’emblema di questo percorso? Ecco un valido motivo per i giovani raccolti intorno ad Elly Schlein di provare a fare da soli. Vinceranno in ogni caso e potranno dare vita a qualcosa di nuovo e di sicuramente più coerente con quello che vogliono rappresentare, una sinistra disinteressata e credibile, perché fuori finalmente dalle stanze del potere.

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