Ricapitoliamo: rifatto il proporzionale, ora bisogna rifare i partiti. Archiviata la pratica del nuovo governo, tutti stanno pensando in queste ore a come mettere mano al sistema dei partiti e a rafforzare il proprio. A parte, ovviamente, i numerosi candidati che si affannano per fare i sottosegretari.

Ci pensano sia i leader dei partiti esistenti, sia quelli che pensano da tempo di farne nuovi di zecca. Ma incominciano a pensarci anche coloro che hanno obiettivi meno ambiziosi, come ad esempio far rinascere quei piccoli partiti del secolo scorso. Sono passati molti anni, ma quasi tutti ricordano ancora quelle minuscole formazioni politiche che alle elezioni si spartivano al massimo qualche punto di decimale, ma che quando poi c’era da fare il governo erano lì sempre pronte a garantire alla Dc la possibilità di ampie coalizioni.



Possiamo solo immaginare in queste ore come si stia incrementato il valore dei simboli – un po’ vintage – di questi vecchi partitini. Potrebbe tornare molto utili riattivare vecchi marchi come il Pli, il Psdi, o addirittura il Pri, con tanto di edera stilizzata.

Il ritrovato potere dei partiti avrà la sua consacrazione con la nuova legge elettorale – richiesta dal Pd nel programma in cambio della riduzione dei parlamentari – che ne sancirà la ritrovata centralità nel sistema politico. Avremo così la fine del leaderismo sfrenato, dei partiti personali con tanto di nome del capo nel simbolo, dei pacchetti di voti spostati con un click.



I partiti torneranno così in auge. In primo luogo perché saranno necessarie alleanze e coalizioni, si dovranno sottoscrivere programmi e trovare equilibri tra ogni tassello del mosaico.

Per questo motivo, parallelamente a quanto accadeva intorno alla vicenda politica che ha condotto al Conte-2, la nuova alleanza tra 5 Stelle e Partito democratico ha incominciato a diffondersi in ogni angolo del paese. La nuova maggioranza sta già preparando le prossime elezioni regionali e la strategia per conquistare nuove amministrazioni, e sta studiando come fare per allargare le maggioranze esistenti.

La coalizione, sulla carta, può contare ancora su ampie percentuali di voti. Ad esempio al Sud il Pd – nonostante il suo peso elettorale limitato – può garantirsi, grazie alla nuova intesa, la riconquista della Puglia e della Calabria. È anche vero che la partita più importante si gioca in Campania, dove un recalcitrante De Luca sembra poco propenso a sacrificarsi in nome dell’accordo con i grillini, e questi poco disponibili a perdonare chi per cinque anni li ha usati come bersaglio preferito delle proprie gag televisive.



Ma i voti del Movimento servono come il pane soprattutto nelle Regioni rosse. Si riparte infatti proprio dall’Umbria, dove dopo 70 anni è crollata l’egemonia della sinistra. Ci si affiderà in questo caso ad una candidatura comune indipendente. Ma le battaglie che contano si giocheranno a novembre in Emilia-Romagna, dove Salvini ha già detto che metterà il suo quartier generale, e in primavera in Toscana, dove bisogna trovare rapidamente un sostituto di Enrico Rossi.

La nuova alleanza è chiamata poi alla prova del fuoco nelle Regioni del Nord, dove in questi ultimi mesi la Lega ha stravinto. A partire dalla Liguria la maggioranza nazionale potrebbe tornare competitiva in molte aree politicamente rilevanti.

Anche il “modello Milano” deve correre ai ripari e adeguarsi. Non è un caso che proprio ieri i due capigruppo in consiglio comunale si siano lanciati dalle pagine del Corriere della Sera ampi segnali di pace, dopo anni di scontri all’arma bianca.

Ma per fare un partito come si comanda ci vogliono gli iscritti. Iscritti veri, in carne ed ossa, pronti a dare al partito tempo e denaro. Ma in cambio di cosa?

Prendiamo ad esempio il Pd. Lo statuto di quel partito ha ridotto il ruolo dell’iscritto a poco più di un cliente assiduo a cui mandare a casa una fidelity card. Gli iscritti non scelgono il leader (lo fanno gli elettori con le primarie), non mettono bocca sulle candidature, non votano i programmi, non eleggono i dirigenti locali. Non è un caso che l’anagrafe degli iscritti del Pd sia oggetto di continue contestazioni e la sua attendibilità è inferiore ad un elenco telefonico. In realtà ogni partito, non solo il Pd, dovrà ripartire da questo tema, ridando centralità agli iscritti e definendo bene i loro poteri, condizione necessaria per mettere fine ad una concezione plebiscitaria della politica.

In questo senso la polemica a cui abbiamo assistito in questi giorni sulla piattaforma Rousseau è davvero fuori luogo. Dobbiamo dare ai 5 Stelle, a Grillo, ai Casaleggio padre e figlio, il merito di aver colto in anticipo la necessità di utilizzare le nuove tecnologie per rendere più efficiente e veloce il momento della decisione all’interno di un movimento e più concreta la partecipazione degli iscritti. Si può continuare all’infinito a polemizzare sulla proprietà della piattaforma e sul fatto che sia poco trasparente, ma quello che è fuori discussione e che ogni partito – dal più piccolo al più grande – dovrà dotarsi molto velocemente di uno strumento simile.

Verrebbe da proporre agli attuali proprietari di Rousseau di rivelare le sorgenti della piattaforma o almeno di fornirne, a prezzo equo, una copia ad ogni partito. Forse così faremmo fare alla nostra democrazia un significativo passo in avanti.