A che serve Renzi? Secondo la sinistra ed i 5 Stelle, a far perdere i voti. Lo ritengono incompatibile con il loro elettorato e ne hanno terrore. La sua presenza in una coalizione li priverebbe di un grande elemento coagulante del loro elettorato ovvero la lotta alla stagione del renzismo, intesa come un momento di tradimento della radicalità della sinistra verso una stagione riformista. Renzi del resto non li ama, anzi. Vede in loro un freno alla crescita del Paese ed un limite alle sue posizioni politiche.



Solo che, passando i mesi, e logorandosi la Meloni, arrivano le stagioni elettorali che contano. Le elezioni regionali e poi le politiche. Ed al Pd è chiara una cosa: ripreso in mano il suo elettorato storico, non gli riesce di (e non vuole) sfondare al centro. Deve farlo qualcun altro. E Calenda da solo non basta. Serva un 10% secco per vincere, preso al centro, e senza quel numero il solo Pd con gli altri non vince.



Ora che il gioco inizia a farsi serio, e si parla di coalizione “di governo”, chi ha ben lucrato dalle posizioni di opposizione (in particolare a sinistra) deve scegliere. O dialoga con chi non ama o consegna il Paese agli altri.

È chiaro che un’ambiguità di fondo di Renzi non aiuta. Ha coltivato tante ambizioni di autonomia del centro ed è stato sconfitto. Ed ora torna a parlare con gli ex compagni di partito forte della sua “necessità”. Ovvero del suo sentirsi una condizione di necessità per far vincere il centrosinistra. Come potrà accreditarsi?

Certo il referendum sul suo Job Act, proposto dai futuri alleati, non aiuta. Non aiuta neppure la visione sulla guerra in Ucraina dei 5 Stelle o la posizione sul tema del rapporto tra imprese e società di Verdi e Sinistra, che vorrebbero a volte le imprese messe sotto tutela sui temi ambientali e sociali. Insomma, tante sono le cose che dividono. E molte difficili da superare. E Renzi, come persona, è una di queste. Ma può una coalizione politica decidere di unirsi o meno solo se non c’è Matteo?



La risposta è no. I veti personali non hanno mai prodotto risultati politici. Anzi, più si riesce ad inglobare e meglio ci si propone all’esterno. È su questo che Renzi spinge. Sa che c’è da indicare ad esempio un Presidente della Repubblica, e sa di mantenere ancora un dialogo con un pezzettino di centro che lo segue; sa che l’attuale centrodestra ha dei fiumi carsici neri che hanno fatto ben comprendere ai futuri alleati come ci sia una destra vera e forte nel Paese. E che lui non ne fa parte.

Ma sa anche che dovrà chinare la testa (se ci riesce), se davvero vuole trovare un accordo, su temi importanti. Chiedendo agli altri di fare altrettanto. Certo è passato un decennio dal suo governo, e tante delle sue battaglie di allora possono essere anche messe da parte, visto lo scenario internazionale. A partire dai diritti dei lavoratori (riscrivendo assieme regole che siano più coerenti con il momento attuale dell’economia), passando per le scelte sulle politiche globali (rilanciando l’europeismo come condizione necessaria per la stabilità del Paese e per affrontare gli scenari internazionali).

Del resto la vittoria laburista nel Regno Unito, la mancata vittoria delle destre alle europee e lo sgonfiarsi dei populismi, che molto hanno promesso e poco mantenuto, sono segnali importanti per il centrosinistra italiano. Se poi Trump perdesse e la Harris si affermasse, il quadro internazionale vedrebbe in Occidente le grandi democrazie indirizzate su un asse progressista e non radicale.

Perciò tenere dentro Renzi sarebbe quasi necessario per poter andare al governo ed essere parte di un nuovo ciclo politico. Il Pd ora non teme più di sparire, ha ritrovato il suo elettorato e svecchiato il parco dirigenti. Ora si sente meno aggredito e più perno de quadro politico. E può ragionare di come vincere e di cosa fare per arrivarci. E far capire ai 5 Stelle, alla Sinistra ed ai Verdi che ora si fa sul serio. Vincere necesse est. E il centro è essenziale. Se ne facciano tutti una ragione. Matteo Renzi in primis.

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