Si chiudono i giochi del congresso del PPE a Bucarest e Ursula von der Leyen stringe la candidatura alla presidenza della prossima Commissione. È il “bis” di cui tanto si è scritto in questi mesi. Ormai non c’erano dubbi. Ma è l’esito del voto a fare notizia. 400 voti a favore, 89 contrari, 10 non validi. Solo che gli aventi diritto al voto erano 793 delegati su 801; registrati al voto 591, a votare davvero sono stati in 499. Un bottino magro di consenso che ha lasciato un po’ spiazzati i tedeschi, ancora oggi azionisti di maggioranza del Partito popolare europeo.



Il resto è politica. Quella più interessante. Si rincorrono voci di un “ingresso” della Meloni, leader dei Conservatori di ECR, nei Popolari. Falso. Ma solo fino a un certo punto. Perché la svolta di Giorgia Meloni – come questo giornale scrive da tempo – c’è ed era scontata. Con le sue oscillazioni di posizionamento si è avvicinata talmente alla sua amica Ursula che ormai pare chiaro a tutti che la voterà. Sia ben chiaro: è una buona notizia per tutti. Anche a sinistra. Con questo posizionamento, infatti, l’Italia esce ufficialmente dal novero dei Paesi a trazione populista e si schiera per una maggioranza che vede nell’Unione il futuro.



Sono lontani i tempi in cui la Meloni dall’opposizione sparava a zero contro Bruxelles. Come tutti i presidenti del Consiglio, ha compreso che le sorti del Paese che guida si decidono altrove ed il suo ruolo non consente tentennamenti. Deve essere in maggioranza con von der Leyen per piazzare qualcuno dei suoi e per sperare che il prossimo Parlamento e la prossima Commissione rivedano il Patto di stabilità siglato a dicembre, che imporrebbe all’Italia di recuperare diversi miliardi di euro anno su anno per una decade. Senza la benevolenza della futura Commissione, la Meloni non può fare altro che arrendersi ad lungo periodo di tagli draconiani alla spesa che la farebbero diventare sicuramente invisa agli elettori.



Inoltre in Europa, usciti gli inglesi, serve un buona amico degli Stati Uniti. E chi meglio di lei, accarezzata da Biden con dolcezza, può essere un punto di riferimento per gli Usa in Europa? Certo, in questo modo la Lega salviniana, con i suoi alleati francesi e non solo, occuperà lo spazio populista anti-Europa, euroscettico e no-euro, ma l’operazione di Giorgia è quella di accreditarsi come l’interlocutore di Bruxelles e Washington.

Il Pd si lamenterà di essere diventato una delle tante forze italiane che appoggia Ursula, con i 5 Stelle neppure così convinti di andare all’opposizione pure in Europa. Dovrebbero entrambi riflettere con più attenzione, soppesando guadagni e perdite.

Ora che i giochi si stanno definendo, si capisce bene come Ursula abbia inglobato Giorgia, l’abbia istituzionalizzata e resa parte del sistema-Ue. Indebolendo il fronte delle forza politiche apertamente ostili all’Unione. In quel campo la Meloni militava con Orbán solo fino a qualche mese fa. Il presidente ungherese e il suo Fidesz erano nel PPE, ora andranno nell’ECR. Solo dettagli.

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