Il pensiero va a tutte quelle persone di sinistra che avevano creduto al progetto di un nuovo partito riformista e liberale. Sono i più esterrefatti e a lutto. Sono gli unici che non commentano, rimasti senza parole nel vedere i propri leader insultarsi senza ritegno. Ha poco senso chiedersi di chi è la colpa. Di gran lunga più importante per costoro è l’amarezza di vedere fallito l’ennesimo e forse ultimo tentativo di costruire qualcosa al di fuori e contro l’odiato “pachiderma”, il principale partito di sinistra.
Non è un caso che il Pd assista in assoluto silenzio allo “spettacolo indecoroso” di cui parla lo stesso Renzi, ma a cui ci stanno sottoponendo entrambi i rispettivi gruppi dirigenti di Italia viva e di Azione. A cominciare proprio dai due leader che, accantonato il tradizionale aplomb, come una bottiglia di spumante scadente a cui è saltato il tappo, si stanno vomitando addosso tutto il risentimento evidentemente accumulato in questi mesi.
L’impressione è che la decisione di accettare la direzione del Riformista di Alfredo Romeo – comunicata a Calenda 15 minuti prima di essere resa pubblica – abbia fatto traboccare definitivamente il vaso della collera dell’ex ministro pariolino. Calenda ha avuto chiaro in quel momento che Renzi non aveva nessuna intenzione di farsi da parte e soprattutto non aveva alcuna voglia di confluire nel suo nuovo partito e rispettare la promessa di non fargli ombra.
La reazione più assordante è soprattutto del gruppo dirigente di Azione, ma l’eccesso di serenità con cui l’annuncio della fine del progetto è stata accolta da quello di Italia viva la dice lunga su chi ha la maggiore responsabilità nella vicenda.
In ogni caso i due personaggi escono da questa rissa finale senza più la minima possibilità di ricostruire la loro credibilità. Calenda con un lungo tweet ha elencato tutto quello che Renzi avrebbe fatto per minare il progetto, riprendendo alcune delle accuse più pesanti rivolte dal Fatto Quotidiano come la questione dei soldi presi dai compromessi reali dell’Arabia Saudita. “Se sono un mostro oggi – replica Renzi – lo ero anche quando ho sostenuto Calenda come leader del terzo polo, come sindaco di Roma, come membro del Parlamento europeo. O addirittura quando l’ho nominato viceministro, ambasciatore, ministro”.
Le ragioni di quanto accaduto sono molteplici e in modo considerevole devono aver inciso i pessimi risultati elettorali degli ultimi mesi. Ma sicuramente ha pesato l’ennesima prova di vitalità dimostrata dal Pd, sempre sul punto di tirare le cuoia e poi immancabilmente risorto più forte di prima. Nonostante tutti si siano sprecati in questi mesi a dimostrare come il nuovo Pd di Elly Schlein fosse sprofondato a sinistra, il primo risultato è stato il fallimento del progetto che doveva sfruttare proprio le cosiddette “praterie” lasciare libere dalla nuova leader alla sua destra.
D’altra parte Renzi ha deciso di puntare a conquistare uno spazio nel centrodestra piuttosto che continuare a perdere tempo a chiedere ospitalità a sinistra. E questo a prescindere dal pensiero di Calenda. Che poi a destra siano così disponibili ad accogliere Renzi come successore auto-designato di Berlusconi sembra anche questa un’altra idea priva di fondamento. Allo stato attuale l’esito più scontato e prevedibile è una disfatta di entrambi i duellanti alle prossime europee.
Ancora una volta il Pd ha la possibilità di occupare un campo più largo di quello che in molti avevano immaginato. Non deve cambiare linea e non è necessario che il gruppo dirigente conceda qualcosa o si appresti a qualche concessione. Il punto è offrire la legittimità ad un’area moderata ad avere uno spazio nel partito in cui muoversi, dialogare e proporre. Le vicende di queste ore dimostrano che il riformismo non ha la forza in Italia per animare un proprio partito ma ha lo scopo di contribuire alla capacità progettuale della sinistra e di rappresentare un collante con pezzi importanti della società. Il Pd lo deve fare adesso, visto che si è liberato definitivamente della zavorra del renzismo. Un capitolo che oggi possiamo, dopo 10 anni, considerare definitivamente chiuso.
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