Tra poche ore il voto europeo darà molte risposte. Tra queste particolarmente interessanti saranno quelle che arriveranno dai cittadini dove di recente i loro rappresentanti politici sono finiti sotto il radar della giustizia italiana. In primis, ovviamente la Liguria. Ma sarà di un certo valore il voto in Puglia e poi nello specifico a Bari dove si elegge il nuovo sindaco. Ma anche in Piemonte, dove il centrosinistra è ancora sotto l’effetto dell’inchiesta che ha colpito un pezzo importante del Pd regionale. E poi la Sicilia, con la giunta regionale dimezzata. A cui vanno aggiunti altre decine di comuni dove piccole o grandi inchieste hanno falcidiato liste e candidature eccellenti. Senza contare i circa 10 comuni che tornano al voto dopo il “purgatorio” durato 18 mesi dallo scioglimento per infiltrazione mafiosa, come nel caso di Castellammare di Stabia in provincia di Napoli.
Ma la Liguria è senz’altro il posto dove l’azione della magistratura ha inciso profondamente sugli assetti del governo regionale, anche per il solo fatto che Giovanni Toti è ormai agli arresti domiciliari da un mese esatto, e quindi nella totale impossibilità di adempiere ai suoi poteri di presidente della giunta regionale. Il rifiuto a dimettersi, atto che aprirebbe inevitabilmente le porte al voto anticipato, rappresenta una strategia difensiva alquanto ardita, di cui si potranno valutare gli eventuali benefici solo nel medio periodo. Per adesso è la causa principale di uno stallo assoluto che offre il fianco ai duri attacchi dell’opposizione in consiglio.
Come sappiamo le azioni giudiziarie verso pubblici amministratori danno vita a due processi, paralleli e distinti: il primo, quello mediatico, che si svolge nelle prime due, massimo tre settimane. Il secondo, quello che si svolgerà nelle aule di un tribunale, è che durerà molto anni e che oggettivamente interessa veramente a pochi. Il processo mediatico di Toti si è svolto con tutti i canoni previsti dallo specifico codice “non scritto”: un mare di intercettazioni, le notizie filtrate con il contagocce, l’elenco puntuale delle contraddizioni nelle difese degli altri imputati, la linea sempre più dura della Procura che risponde colpo su colpo, il Gip che respinge le richieste di ritorno alla libertà avvalorando la tesi del pericolo del ripetersi dei reati. Anche se occorre dargli atto di una certa dose di coraggio nell’organizzazione della propria difesa, Toti non sembra aver prevalso. Anzi, a dire il vero, per quanto abbia cercato di smontare l’impianto accusatorio, il contesto emerso dai comportamenti di tutti gli indagati, a cominciare dai collaboratori più stretti, è sinceramente inqualificabile e senza appello.
Detto questo si ha l’impressione che la Procura stia cercando altre prove e che consideri i contributi volontari e tracciati di cui si è parlato in queste settimane quasi una “copertura” di ben altri giri di affari (Spinelli si è vantato di aver fatto una plusvalenza di 30 milioni di euro grazie alla concessione trentennale ottenuta dalla compiacente autorità portuale di Genova). È questo accade senza abbandonare la tesi accusatoria originaria che, tracciati o meno, considera i contributi erogati da Spinelli come contropartite per benefici ottenuti a danno di concorrenti e delle stesse casse pubbliche.
L’opposizione sogna il ribaltone, anche perché sembra aver sciolto ogni riserva il candidato “forte” del Pd, quell’Andrea Orlando da La Spezia, che conta su un pedigree di tutto rispetto (tre volte ministro tra il 2011 e il 2021). Orlando ha escluso con i suoi collaboratori più stretti i rischi di coinvolgimenti locali nell’inchiesta. Il Pd ha sempre svolto ruoli di governo, soprattutto per quanto riguarda le autorità portuali della Liguria. E lo stesso segretario della federazione di Genova è un dipendente di una delle aziende citatate nell’inchiesta.
Ma soprattutto Toti non sembra godere di particolare sostegno a livello nazionale tra i suoi stessi alleati, dove è stato più o meno scaricato da tutti i principali leader del centrodestra ad esclusione di Salvini. Ma colui che ha provveduto a mettere maggiore distanza tra sé e il presidente della giunta regionale è proprio il sindaco di Genova Bucci che, per quanto più volte chiamato in causa, è al momento considerato solo un “testimone informato dei fatti”. Finito il processo mediatico ora si tratta solo di fare i conti dei danni, e il voto di domani potrà indicare l’entità delle perdite. Sarà questo l’unico dato che potrà ancora tenere in piedi la strategia difensiva di Toti e consentigli di perseverare nel braccio di ferro con la Procura.
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