Che Romano Prodi sia in campo è fuori dubbio. Le sue uscite sul centrosinistra e sulla politica in generale sono precise e chirurgiche e non hanno nulla di casuale o estemporaneo. Rappresenta con chiarezza il fatto che la vecchia guardia del potere politico è preoccupata che si stia andando verso una progressiva radicalizzazione dei poli, con l’effetto di spostare definitivamente a destra gran parte dell’elettorato moderato. Un timore che nasce dalla consapevolezza che poche sono le occasioni in cui si è espresso il voto centrista a favore della sinistra negli ultimi anni. E la rinascita del Pd, meglio dire la prova di esistenza in vita, che la Schlein incarna può essere un fuoco effimero.



L’altro ieri Prodi ha richiamato il suo miracoloso pullman del 1996, la sua esperienza di federare mondi, episodio politico che fu anche un momento di crescita del Paese coalizzando centristi e sinistra, all’epoca, contro Berlusconi. Quello che lui teme è che la Schelin sia polarizzata troppo su posizioni radicali e dia poco fiato su temi essenziali come la crescita economica e la questione dell’immigrazione. Argomenti che saranno alla base del 2025, che si annuncia anno complesso in tutta Europa. E che potrebbe, con le sue incertezze, spaventare oltremodo il ceto medio e spingerlo tra le braccia di una destra che mostra ormai chiaramente la sua ambizione borghese e non più rivoluzionaria.



Sa, Prodi, che il ceto produttivo ha voglia di stabilità e sicurezza e solo dopo è disponibile alla solidarietà e condivisione. E che senza un progetto che tranquillizzi chi ha un reddito, le famiglie ed i giovani produttivi, si fa fatica a portare aiuto a chi è più fragile nel sistema economico moderno. Con la conseguenza che se non si parla a chi ha timori e paure, pur avendo certezze, li si perde senza più capacità di recupero. Anche perché arriverà un periodo complesso per l’economia in cui sarà davvero difficile fare politiche redistributive senza danneggiare larga parte chi ha redditi tutto sommato modesti se rapportati ad altri Paesi europei ma che, nella narrazione della sinistra più radicale, appaiono privilegiati.



Perciò Prodi invoca una scelta di apertura al dialogo tra opposizioni e sponsorizza la nascita di un’opposizione variegata ma unita da un programma per reagire al difficile momento che in tutta Europa sta attraversando. Non dimentica che per battere la destra in Gran Bretagna i laburisti sono tornati a parlare come Blair, hanno abbandonato i massimalismi e l’illusione che la sinistra radicale da sola potesse fare giustizia sociale. In Francia la situazione è simile. Con i socialisti ormai fagocitati a sinistra da un partito che potrà, nella migliore delle ipotesi, portare all’Eliseo la Le Pen ma che non sa trovare un modo di dialogare con il centro. L’effetto è la crescita delle destre, unite dal nazionalismo e da una pasticciata difesa dei ceti produttivi ma che non sanno ancora su quale strada indirizzare la crescita, subendo i cicli economici senza un indirizzo chiaro.

Su questa debolezza Prodi vuole una coalizione alternativa che dica in Italia come rilanciare redditi e produzione industriale, che riformi il mercato del lavoro e delle pensioni, che riporti al centro industria e competenze diffusa con slancio. Invece la risposta della sinistra sono i referendum per tornare all’articolo 18 sui licenziamenti e cancellare il Job Act, come se fosse quello il tema rilevante e non la chiusura della filiera automotive, i 21 mesi consecutivi di decrescita della produzione industriale, la mancanza di un sentiero di crescita del modello Italia. Partendo dall’energia, ancora troppo costosa, dagli incentivi per l’ammodernamento tecnologico, dalla formazione permanente della forza lavoro per aumentare la produttività ed incrementare i salari.

Il mantra del Pd attuale su questi temi è invece la doppietta “lotta all’evasione/incremento degli stipendi”, come se le due cose fossero collegate, e si volesse puntare solo ad una redistribuzione senza vedere l’economia della crescita come motore del futuro. Sa Prodi che a questo Pd serve una gamba che sorregga il tavolo su cui scrivere un programma forte e nuovo che sappia di futuro e che smuova l’elettore. Sennò si rischia che il Pd resti al suo meraviglioso 20%, o giù di lì, senza avere possibilità di essere utile al Paese.

Ci vuole un nuovo pullman, ha detto rivolto alla Schlein. Sperando che Elly sappia dove sia la fermata giusta. Per ora pare sia tutta presa dalla sua corsa in bicicletta con la Cgil. Ma Prodi ci andava per diletto, non per fare voti.

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