“Ci mancava pure che riperdessimo l’Umbria. Queste tre ultime votazioni regionali sono terminate 2 a 1 per il centrosinistra. Mi è sembrata una partita vinta all’ultimo minuto. Ma il quadro complessivo non mi sembra mutato”. Parla in questo modo, senza entusiasmo, un personaggio del Partito democratico milanese. E continua facendo una piccola smorfia: “Non metto ovviamente in conto l’Emilia-Romagna, che per molti anni resterà un’isola rossa che risale ai tempi di Stalin. Ci mancherebbe altro”. Alla fine sorride e dice: “Per la sinistra è un piccolo respiro di sollievo, solo alcuni analisti possono immaginare una rimonta con quello che ci attende nei prossimi anni”.
Il personaggio della sinistra milanese guarda a quello che sta accadendo ormai in tutto il mondo e sostiene che è difficile contenere questa “svolta a destra”, che ormai parte dagli Stati Uniti con l’elezione di Donald Trump, ma che si sta allargando in Europa, in Paesi importanti come la Francia e la Germania (e forse molto presto anche in Spagna) e rischia di mettere in crisi la stessa Commissione europea.
Ma la preoccupazione che maggiormente si coglie parlando con alcuni esponenti della sinistra italiana è il disincanto che si vede nella partecipazione politica anche nei militanti di sinistra. A prima vista, guardando la partecipazione elettorale, si può notare che l’Italia ha fatto non un salto, ma un autentico balzo all’indietro con la cosiddetta “seconda repubblica”.
Le elezioni regionali sembrano avere quasi una partecipazione marginale e l’affluenza che supera il 50% è diventata quasi una rarità. Giusto in Umbria ieri si è arrivati quasi al 53%, ma nell’“isola rossa” dell’Emilia-Romagna, dove la mobilitazione è sempre stata una tradizione radicata e doverosa, si è arrivati a poco più del 46%. Cose da brividi per coloro che vivono con una via Stalingrado in città.
Sono questi numeri, che, forse in questo periodo storico, stanno diventando ancora più importanti di una vittoria o di una sconfitta. Le mobilitazioni, le manifestazioni, i giorni “anti-Meloni”, gli scontri con la polizia dei giovani che sventolano la bandiera palestinese, non sembrano incrinare la compattezza complessiva, a livello nazionale, del centrodestra. Ma sopratutto sembrano gli ultimi salvatori di un centrosinistra in affanno.
Il problema è che l’opposizione al governo Meloni non ha una forza di coesione per diventare maggioranza se non trova la basi di un programma comune in politica interna ed estera.
Un banco di prova saranno le prossime elezioni regionali e quelle delle grandi città nel 2025. La Toscana, ad esempio, è una prova durissima per il centrosinistra, una sfida che non può perdere. Ma prima di affrontare queste consultazioni occorre ricordare che l’opposizione ha differenze che spesso, troppo spesso, sembrano insanabili. Come si comporteranno alle prossime scadenze elettorali Renzi e Calenda ad esempio, che sono quelli che dovrebbero diventare un punto di riferimento per chi è orfano di un “centro politico”?
Poi c’è la vicenda della rottura tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte, che, attraverso una convenzione o un raduno congressuale (impossibile definirlo) si divideranno definitivamente e occorrerà vedere se tutto questo comporterà un’implosione del M5s oppure una scissione limitata. E che collocazione politica assumerà il M5s? Poi c’è una sinistra costituita dai verdi di Angelo Bonelli e da Sinistra italiana di Nicola Fratoianni.
Questi gruppi, associati al Pd in un’alleanza con un programma preciso e unitario, avrebbero la possibilità di battere il centrodestra di Giorgia Meloni. Ma di “campo largo” non si parla ormai più e questi gruppi su alcuni punti vanno d’accordo, su altri si dividono in tutte le sedi in modo definitivo. E poi all’interno del Pd di Elly Schlein, ci sono, per usare un eufemismo, delle sensibilità diverse.
Lo scontro in atto tra la segretaria del Pd e il presidente della Campania Vincenzo De Luca, che cosa può riservare? La segretaria si oppone al terzo mandato del governatore, De Luca non ci sente e il partito nella sua Regione lo segue.
In tutta questa confusione, l’opposizione del centrosinistra deve veramente inventarsi una strategia, altrimenti rischia di fare l’opposizione per anni, mentre si limita a vincere in alcune regioni e città, e può sperare solo in uno sfaldamento della maggioranza, cosa che non sembra all’orizzonte nonostante tra Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia ci siano oggettivamente delle differenze sostanziali.
Qui ritorna a sussurrare qualcosa il nostro personaggio del Pd: “Io non riesco a vedere un’alleanza solida tra le forze di opposizione e temo anche le differenti posizioni interne al Pd”. In sostanza, il rischio che la Schlein possa a un certo punto essere messa in discussione esiste sempre, così come alcuni ritengono che siano le varie anime del Pd che, di fronte a nuove sconfitte nel 2025, metterebbero a rischio lo stesso partito. Aver riguadagnato l’Umbria è poca cosa di fronte a quello che si gioca dietro le quinte. Diciamo un sospiro di sollievo.
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