Alla fine è successo. Qualcuno di sinistra ha vinto contro i pronostici mettendosi assieme, come in Francia, o dando una svolta alle proprie posizioni come in Gran Bretagna. E questa è la prova che la sinistra italiana vince più all’estero che a casa. Lo si legge nell’entusiasmo per i risultati francesi o per il governo inglese. Come se fossero misture alchemiche dotate di poteri sciamanici, quelle sinistre aprono il più grande interrogativo per il Pd e i suoi potenziali alleati. Vogliono governare? O preferiscono perdere di misura alle urne e fare governi posticci?



Perché se è bello festeggiare la sera delle elezioni, quello che viene dopo è alquanto complesso. Si deve rinunciare alla propria identità singola e sciogliersi in un visone collettiva, ascoltando quella che la società chiede. Ovvero una risposta efficace alla crisi del ceto medio e un supporto ai ceti popolari. Cose che si coniugano assieme solo se si accetta che entrambe le esigenze sono meritevoli di tutela. Mai la coalizione francese avrebbe vinto senza un accordo di desistenza con Macron e mai i laburisti inglesi sarebbero tornati al potere se avessero mantenuto al linea proto-comunista di Corbyn.



Per farla breve, la sinistra italiana deve imparare a copiare e arrendersi all’evidenza che senza un rapporto strategico con il centro, qualunque esso sia, coalizzandosi o parlandoci direttamente, non si vince nelle urne. E l’entusiasmo per la sconfitta delle destre rischia di creare un miraggio, ovvero che siano indebolite e destinate alla sconfitta quando in realtà sono una minoranza che ha saputo motivare gli elettori fino a divenire maggioranza dei votanti. Lo dice con chiarezza la grande affluenza al voto in Francia, che ha prodotto il ritorno alle urne di tanti che hanno voluto dare un segnale politico chiaro. Se ci chiamate ci siamo, ma siate credibili. Perché sennò restiamo a casa e venite sconfitti.



Per fare ciò, Prodi usò la suggestione del programma scritto dal basso e dell’Ulivo coi suoi comitati. Altri tempi. Ora si deve inventare qualcosa che unisca Schlein e Conte, il centro alla sinistra. E farlo per bene ed in maniera credibile, perché se poi riesce, tocca governare.

Certo, ora sembra che il tempo davanti sia tanto, ma come avverte qualcuno (Zanda), la coalizione del centrodestra ha molte insidie innanzi a sé. Che non sono solo caratteriali. La crisi finanziaria che rischia di arrivare per i conti da mettere a posto, la posizione dell’Italia sulla guerra in Ucraina e il difficile percorso delle riforme (autonomia e premierato) sono insidiose trappole su cui la maggioranza rischia di fare fatica. Se ci uniamo le uscite della capofamiglia Marina Berlusconi sui diritti civili e sulle morbidezze di Forza Italia, allora il quadro mostra le sue fragilità. Che però se sono sufficienti a far tribolare la maggioranza da sole, non sono altrettanto sufficienti a portare al governo un’alternativa se essa non è credibile. Quella maggioranza si costruisce solo se i vari protagonisti del “campo largo” berranno davvero l’amaro calice della pozione francese e daranno un segnale forte di voler vincere e offrire una alternativa. E così, come in un rituale, svegliarsi diversi e pronti a vincere, quando sarà. Poi ci sarebbe da governare. Ma per quello c’è tempo. Primo cambiare e vincere, poi comandare. Se vi vuole, se si sa.

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