Dopo cinque anni dalla sua ultima missione diplomatica in Europa, Xi Jinping arriva a Parigi per incontrare il presidente Macron per poi volare da Ursula Von der Leyen e quindi recarsi in Serbia e Ungheria. L’incontro francese avviene in occasione delle celebrazioni per i 60 anni di relazioni diplomatiche, una ricorrenza che non ha un semplice valore simbolico poiché i rapporti fra i due Paesi sono destinati a diventare più stretti. Gran parte degli analisti si sono concentrati sui risvolti commerciali dell’incontro e quindi sulla possibilità che la Cina trovi dei mercati di sbocco per la produzione delle sue auto elettriche. È indubbio che per il sistema economico cinese l’Europa rappresenti il partner naturale e l’accesso ai suoi mercati è una questione vitale per la sua economia a vocazione export lead, ma il viaggio di Xi a Parigi segna il ritorno della grande politica estera cinese. Dopo la visita a Pechino di Olaf Scholz, caratterizzata da  un’eccessiva accondiscendenza, e quella di Antony Blinken dai toni decisamente più aspri, l’incontro di Parigi rappresenta qualcosa di diverso da quelli precedenti, caratterizzati dalla ripetizione di un copione che non permetteva ai suoi protagonisti colpi di scena e improvvisazioni. A differenza dei suoi incontri precedenti, stavolta Xi Jinping ha qualcosa di valore da  offrire; il presidente cinese è venuto in Europa per trattare con quelli che ritiene i partners dal più alto valore strategico la propria mediazione per la pace in Ucraina. Parliamo di una politica estera al più alto livello che al momento solo la Cina sembra in grado di interpretare.



In definitiva, Xi ha capito che l’Europa, stanca di due anni di guerra e preoccupata per il futuro della propria economia, ha bisogno di un soggetto capace di assicurare una forma di stabilità. Ma vedere in Xi soltanto un messaggero di pace rappresenta un grave errore di ingenuità. Benché la Cina abbia tutti gli strumenti per far pesare alla Russia la propria volontà, la pace cinese avrà un prezzo e comporterà accordi commerciali decisamente favorevoli a Pechino.



A riguardo, la seconda parte del viaggio di Xi in Ungheria e Serbia ha lo scopo di  mostrare il volto assertivo della politica estera cinese e si svolge in quelli che sono ritenuti due Paesi molto vicini alla Russia, un modo per far capire la vera natura dei rapporti di forza delle relazioni sino-russe. Gli investimenti cinesi in Serbia non hanno cessato di crescere e Viktor Orbán è stato uno dei più attivi promotori dell’agenda cinese in Europa. Mentre la Cina si mostra accomodante con le leadership europee, punta decisamente su Orbán, ovvero il soggetto più destabilizzante per l’architettura dell’Unione Europea. Un atteggiamento solo apparentemente contraddittorio ma che in realtà è strumentale alla strategia cinese che vede nel premier ungherese una leva per raggiungere i propri obiettivi. La Cina riesce a modulare la propria politica estera riuscendo ad auto-rappresentarsi come un soggetto con cui parlare di pace e al contempo come potenza in grado di influenzare la politica estera ed economica dei Paesi a lui vicini.



Non è un caso che Xi incontrerà il presidente serbo Aleksandar Vucic nel 25esimo anniversario del bombardamento statunitense dell’ambasciata cinese a Belgrado, e i leader serbi ed ungheresi sono stati gli unici capi di Stato europei a partecipare al vertice Belt and Road di Pechino nel 2023, un dato significativo perché Serbia e Ungheria sono due Paesi strategici per il progetto infrastrutturale cinse e rappresentano la porta da cui accedere ai ricchi mercati europei. Un contesto che offre alla Cina più carte da giocare, permette a Xi di capitalizzare le difficoltà degli altri soggetti in campo e fa sembrare molto lontani  i tempi in cui la diplomazia europea vedeva in Pechino un “rivale sistemico”. Il viaggio di Xi in Europa non è ancora concluso, ma il presidente cinese può già passare all’incasso.

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