“Una delle dichiarazioni più potenti ed esplicite da decenni in favore di Taiwan” ha commentato l’agenzia di stampa americana Associated Press. “I consiglieri più vicini a Joe Biden sono stati colti di sorpresa dalle dichiarazioni del presidente americano” scrive l’Ansa. In realtà l’inquilino della Casa Bianca ci ha abituati da tempo a esternazioni che assomigliano più a gaffe che a reali commenti politici, come quando durante una intervista in diretta televisiva alla domanda se considerasse Putin un assassino, rispose candidamente di sì.
Questa volta, dal Giappone, “Sleepy Joe” – come lo chiamava il suo nemico Trump –, alla domanda se gli Stati Uniti pensano di intervenire militarmente in difesa di Taiwan in caso di invasione cinese, ha risposto nuovamente di sì, mettendo in agitazione tute le cancellerie del mondo.
Non è invece una sorpresa questa affermazione per chi segue da vicino la politica estera americana negli ultimi due anni, come Andrew Spannaus, giornalista e opinionista americano, fondatore e direttore di Transatlantico.info da noi intervistato: “Lo scorso febbraio la Casa Bianca ha reso pubblico un documento in cui viene annunciato un cambio strategico della sua politica per quanto riguarda la regione indo-pacifica, in cui si trova Taiwan. Ma è da due anni che la politica estera americana con l’amministrazione Biden ha assunto un ruolo maggiormente interventista, non è una novità”.
Come giudica la risposta di Joe Biden, che sembra avere spiazzato anche i suoi consiglieri?
È l’espressione ufficiale della politica estera americana. Ovviamente i consiglieri di Biden correttamente preferiscono che il presidente stia più attento alle parole che usa.
Intende dire che l’interventismo in caso di invasione cinese di Taiwan è cosa nota?
È da alcuni mesi che gli Stati Uniti hanno formulato una linea politica nei confronti di Taiwan che di fatto rappresenta un impegno di difesa più esplicito rispetto al passato. Mi riferisco alla “Politica per l’Indo-Pacifico”, The Indo-Pacific Strategy, documento reso noto dalla Casa Bianca nel febbraio scorso in cui si definisce per tutte e due le parti politiche, quella repubblicana e quella democratica e per ogni amministrazione presidenziale, che questa area del mondo è vitale per gli Stati Uniti.
Ci può dire in breve in cosa consiste?
Si tratta di una nuova strategia per una regione indo-pacifica “libera e aperta”, che promette sostegno alla connettività regionale, al commercio e agli investimenti e all’approfondimento dei partenariati bilaterali e multilaterali e soprattutto alle dinamiche strategiche tra Stati Uniti, India e Cina nella regione.
Quindi anche un sostegno militare? Si può dire che la politica estera americana abbia subito un deciso cambiamento?
Certo, con questa politica gli Stati Uniti si spostano verso una posizione più interventista, per difendere la violazione della sovranità in questo caso di Taiwan. Nello stesso tempo si cerca di mantenere formalmente una politica di dialogo con la Cina. Di fatto si è andati in una direzione più esplicita; Biden forse non doveva dirlo in modo così netto, ma questa è la visione di Washington.
Per anni, a proposito di Taiwan, si è parlato di “ambiguità strategica” americana. Era una definizione corretta?
Certamente, questa politica c’è stata ma adesso è finita. Qualcuno vorrebbe ci fosse ancora, ma con negli ultimi due anni, e adesso negli ultimi mesi con i documenti citati, la situazione è cambiata.
L’interventismo americano lo vediamo in Ucraina; c’è una connessione con Taiwan?
Quello che succede in Ucraina è molto importante per Taiwan. La Cina sta monitorando attentamente e pur non volendo esporsi troppo per paura degli effetti economici, non può permettersi una sconfitta totale della Russia. In America invece si teme che se Putin raggiunge gli obbiettivi che si è prefissato, anche la Cina potrà fare altrettanto. Il parallelo è molto chiaro, lo ha detto Biden stesso spiegando che bisogna fermare la Russia per far capire alla Cina che non si possono fare queste cose.
Quindi dobbiamo rassegnarci a questa situazione con i rischi che comporta?
Il linguaggio politico americano senza dubbio è cambiato. La politica di Washington negli ultimi anni è andata nella direzione di rappresentare una maggiore sfida con Pechino, pur mantenendo aperto il dialogo. Finora si è lasciato alle discussioni riservate il futuro di Taiwan, evitando scontri pubblici, ma con la guerra in Ucraina in corso, secondo Washington questo non è più possibile.
Come giudica il popolo americano questo cambiamento?
Non vuole essere coinvolto in guerre. Tra l’altro ha eletto tre presidenti che hanno promesso il dialogo con gli altri Paesi e cioè Obama, Trump e Biden. Tutti e tre però si sono trovati in situazioni in cui sono stati costretti a cambiare direzione. La politica di Biden è molto più esplicita rispetto a un anno fa.
In Europa l’atteggiamento americano è visto con grande negatività. Si dimentica forse che Ucraina e Taiwan sono paesi democratici attaccati o a rischio di esserlo da Paesi che non sono esattamente democratici, però la paura di una escalation nucleare stravolge ogni “interventismo”, e già si dice che gli Usa vogliono fare i bulli anche con Pechino. Cosa ne pensa?
È un grande dilemma. È giustissimo difendere la democrazia e i Paesi democratici da pressioni o invasioni di un Paese non democratico, difendere i principi. Il realismo purtroppo ci dice che devono esserci dei limiti. Lo ha capito anche il New York Times in merito all’Ucraina, lo sanno molti in Europa che non possiamo purtroppo pretendere di difendere i principi democratici al cento per cento di fronte a chi ha armi nucleari. Il rischio di spingere Putin in un angolo dove teme di perdere la faccia è un rischio reale e ben presente a Washington. Lo dimostra il contenuto della telefonata tra i ministri della Difesa americana e russa Austin e Shoigu che nessuno ha reso pubblico, a parte noi.
Che cosa si sono detti?
La preoccupazione principale americana è di assicurarsi che la catena di comando delle armi nucleari russe sia ancora intatta dopo la rimozione di numerosi comandanti russi, proprio per paura che qualcuno con un gesto avventato possa far scoppiare una guerra nucleare.
Dopo la dichiarazione di Biden come reagirà la Cina?
Sicuramente la Cina preferiva l’ambiguità ad una sfida aperta. A Pechino guardano la situazione in Ucraina e ora si sentiranno spinti a decidere quale politica fare. La Cina ha grande pazienza, non mi aspetto un’invasione domattina. Anzi la Cina non la vede neanche come un’invasione visto che considera Taiwan parte integrante del suo territorio.
(Paolo Vites)
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