A oltre quaranta giorni dall’inizio del conflitto, qui negli Usa le notizie della guerra in Ucraina tendono a scivolare via velocemente dai titoli di testa dei TG con gli americani molto più preoccupati per l’inflazione e il costo dei carburanti che non per il lontano fronte europeo.
È infatti molto più commentata la decisione presidenziale di attingere un milione di barili al giorno dalle riserve strategiche fino alla fine dell’anno pur di bloccare il prezzo della benzina che era schizzato in molti Stati oltre i 5 dollari al gallone. La mossa ha stabilizzato il prezzo intorno a 4,20 dollari, equivalenti a 99 centesimi di euro al litro, un prezzo che a noi sembra da favola, ma per gli americani è comunque uno shock.
Molti sottolineano l’incongruenza di un Biden che promette gas agli europei ma poi continua a bloccare gli impianti di trasformazione di gas liquido, oltre all’oleodotto Keystone XL dal Canada (bloccato nel suo primo giorno da Presidente), che oggi permetterebbe agli Usa di disporre di 830.000 barili al giorno di greggio canadese, con effetti calmieranti sul prezzo della benzina e senza dover intaccare le riserve.
L’opinione pubblica guarda preoccupata al prezzo della benzina, ma anche al tasso d’inflazione che a marzo su base annua è giunto al +8,5%, record negativo dal 1982, mentre la Federal Reserve pompa quotidianamente nel sistema una somma imponente di liquidità (si parla di 300 miliardi di euro al mese, ovvero in un solo mese tutti i fondi italiani del Pnrr) per sostenere i consumi e – indirettamente – le traballanti fortune di Biden chiamato a novembre a un difficile turno elettorale e annuncia, però, misure restrittive dell’offerta di moneta dal prossimo mese di maggio.
Dietro il paravento degli aspetti politici e umanitari del conflitto, gli Usasi stanno indebitando sempre di più, ma grazie alla loro rafforzata leadership economico-finanziaria, scaricano una parte dei propri guai sull’area Euro e le altre economie straniere con il dollaro che comunque si e rafforzato confermandosi come valuta centrale del mondo.
Dopo l’abbandono dell’Afghanistan che ha significato una figuraccia immensa per la Casa Bianca, l’Amministrazione Biden sta puntando tutto su un rilancio economico interno nel tentativo di affrontare al meglio il voto di novembre. Di qui la necessità di tenere basso il costo del denaro offrendo liquidità alle famiglie (si stanno ripetendo le situazioni pre-2008, quando esplose la bolla dei mutui sugli immobili che come un terremoto sconvolse l’economia del mondo) e puntando a nuovi posti di lavoro. Il prezzo da pagare è un aumento astronomico della liquidità circolante che genera inflazione, ma accettabile se appunto viene parzialmente “spalmata” all’estero nel momento in cui la guerra indebolisce soprattutto le concorrenti economie europee.
Parliamoci chiaro: l’America non risente economicamente del conflitto, non impiega propri uomini in prima linea, non ospiterà una quota significativa di profughi (continuano piuttosto negli Usa le polemiche sugli arrivi irregolari al confine messicano, ripresi in forze), ma ha tutto l’interesse a mantenere alta la pressione perché controllerà sempre di più le fonti energetiche mentre fa grandi affari in campo militare anche in Europa. “Combatteremo la guerra in Ucraina fino all’ultimo europeo” è uno slogan ipotetico, ma che rende bene l’idea: l’America vende armi, tiene alta la tensione, fa i propri affari e scarica rischi, profughi e “danni collaterali” sugli alleati europei e le loro economie.
La Germania, per esempio, ha avviato l’acquisto di nuovi armamenti Usa nel quadro di un piano di rinnovamento delle sue forze armate con un budget di 100 miliardi di euro. Applaudono Lockheed, Martin, Raytheon, General Dynamics, Boeing e Northrop Grumman, i giganti della difesa Usa sempre in prima fila – guarda caso – a sostenere Biden.
Soprattutto, sul piano strategico, gli Usa, al di là delle dichiarazioni ufficiali hanno molto da guadagnare dal solco profondo che la guerra in Ucraina sta creando tra Ue e Russia che, ove fossero invece Paesi tra loro alleati, potrebbero insieme diventare un formidabile antagonista all’America.
Un’Europa debole dal punto di vista energetico è poi un’altra manna per Washington che invierà gas – così almeno è stato promesso – ma a ottimi prezzi (per gli Usa), mentre la sospensione del gasdotto Nord Stream 2 chiuderà per anni i rubinetti a Est per un’Europa affamata di energia: la quadratura di un cerchio perfetto in cui l’Ue è però la parte perdente.
In questa situazione, come giocano l’Europa, l’Italia, Draghi? Ho l’impressione che di questi rischi si parli troppo poco e che una volta di più a Bruxelles comandino quelle lobby che non sono sempre dalla parte dei comuni cittadini europei. Conta soprattutto il business, così dopo il Covid ora si guadagna con la guerra: ieri si speculava sui vaccini venduti a prezzi esorbitanti senza controlli sui contratti (dopo diciotto mesi i contratti pubblici europei con le americane Pfizer e Moderna per centinaia di milioni di dosi e miliardi di euro sono ancora segreti!), oggi corrono le industrie legate agli armamenti e si permettono aumenti dei costi energetici che uccidono l’economia europea, ma portano profitti scandalosi alle multinazionali.
Quanti riflettono anche su questi aspetti, quali media ne parlano? Credo che gli italiani dovrebbero cominciare a porsi anche queste domande.
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