Ieri è stato il giorno della telefonata tra i due leader delle due maggiori potenze mondiali, Joe Biden e Xi Jinping. L’America vara sanzioni e fornisce armi all’Ucraina, avvisando Pechino di non sbilanciarsi troppo nella relazione con Mosca; ben sapendo che Putin e Xi qualcosa in comune ce l’hanno, ed è l’avversione all’unipolarismo americano. Assetti in via di definizione di una “guerra fredda” che tra Nato e Russia rischia di diventare calda.
“Al momento la guerra sta premiando la strategia Usa” spiega al Sussidiario Andrew Spannaus, giornalista e saggista americano, fondatore e direttore di Transatlantico.info. “Putin più va avanti, più si danneggia, più crea difficoltà per la Cina. Per questo Biden intende mettere allo scoperto la differenza di obiettivi strategici tra Russia e Cina. E mandare un avvertimento a Pechino”.
Cosa sappiamo della telefonata tra Joe Biden e Xi Jinping?
I dettagli per ora sono pochi: l’ammonimento di Biden a non sostenere Mosca, e le critiche di Xi alle sanzioni. In ogni caso, dal punto di vista degli Usa l’obiettivo è allineato a quello più generale di questa fase politica: separare la Cina dalla Russia e mandare a Pechino un messaggio chiaro su come dovrebbe comportarsi – secondo Washington – per essere un attore responsabile.
Quale potrebbe essere invece la preoccupazione cinese?
La guerra complica, non aiuta i disegni di Xi. Da un lato la Cina deve difendere il suo ruolo contro un mondo unipolare guidato dagli Usa. Dall’altro, Pechino non può permettersi di bruciare le proprie relazioni con il mondo occidentale. Infine, non vuole neppure vedere una Russia troppo forte in certe zone del mondo.
Come può Washington voler separare i destini economici e strategici di Mosca e Pechino, quando molte scelte americane hanno favorito un avvicinamento?
L’obiettivo di dividere Russia e Cina non è stato perseguito negli ultimi anni con la dovuta cura. In ogni caso, al momento la guerra sta premiando la strategia Usa.
In che modo?
Due sono i benefici rilevanti. Il primo è un chiaro messaggio alla Cina. Se Putin si fosse fermato alla minaccia, senza invadere l’Ucraina, oggi sarebbe in una posizione più forte. Invece sta subendo molte perdite, di uomini e di mezzi, e si trova in una situazione più difficile del previsto. In più ha ricompattato l’Occidente, che gli sta rispondendo con pesanti sanzioni economiche. La Cina non pensi di fare con Taiwan ciò che la Russia ha fatto con l’Ucraina.
E il secondo vantaggio?
È un invito politico a giocare un ruolo di mediazione. Se rimane troppo vicina a Mosca, Pechino – che non può fare a meno dell’Occidente – verrebbe vista come irresponsabile. Alla Cina non interessa una Russia con una sfera di influenza troppo diretta, né in Ucraina, né soprattutto in Asia centrale. Pechino sarebbe penalizzata sul piano strategico.
I conti però non tornano. Come può Biden definire Putin “dittatore omicida e criminale puro”, alzare il telefono e pretendere che Xi raffreddi lo scontro?
Non fermiamoci al proposito di fermare subito le operazioni militari e consideriamo in modo più ampio gli obiettivi americani. Il primo obiettivo è alzare per la Russia i costi dell’invasione. Il secondo è mettere allo scoperto la differenza di obiettivi strategici tra Russia e Cina, il terzo è mandare un avvertimento a Pechino.
D’accordo, ma in Ucraina si combatte una guerra pericolosissima.
Ancora in gennaio la Cia aveva detto che Putin si stava preparando ad invadere l’Ucraina, ma l’amministrazione americana non è stata creduta. Sembrava invece che soffiasse sul fuoco. Non solo: gli Usa hanno anche detto quali sarebbero state le misure adottate se Putin avesse fatto la sua scelta. Lo stesso Biden aveva lasciato una porta aperta, sostenendo che l’invasione era pronta, ma che Putin non aveva ancora deciso. Il messaggio americano a Putin era chiaro: non siamo disposti ad offrire concessioni; ora devi essere tu a scoprire le carte.
Biden ha annunciato ulteriori aiuti all’Ucraina per 800 milioni di dollari. Mentre la Ue varerà il quinto pacchetto di sanzioni contro la Russia. La Cina ringrazia.
Sicuramente la Russia diventa più dipendente dalla Cina in questa situazione. Nondimeno, Biden ha ripetuto a Xi ciò che Jake Sullivan ha detto a Yang Jiechi: se la Cina violerà costantemente le sanzioni alla Russia, sarà soggetta a sanzioni secondarie.
“La Russia si separerà completamente dai residui legami finanziari con l’Occidente per intraprendere la strada dell’autarchia dei capitali. L’era della globalizzazione è terminata. È iniziata quella della deglobalizzazione”. Lo ha detto Lavrov ad Antalya. Qualcuno si spinge a dire che l’Ucraina e lo scontro con la Nato sono soltanto pretesti per avviare questa strategia.
Ma la Cina non è pronta per l’autarchia, né per separarsi dal mondo occidentale. E infatti non lo vuole. Può volere incrementare il proprio mercato interno per non dipendere troppo dall’estero, questo sì, ma continua la sua strategia di espansione economica in tutti gli angoli del globo.
E dal lato russo?
La Russia negli ultimi anni ha fatto tanti sforzi per modernizzare la propria economia, soprattutto nel settore tecnologico, ha tentato di creare un’economia industriale diffusa, ma vi è riuscita solo in parte, rimanendo fortemente dipendente dall’Occidente in alcuni settori. Infatti uno delle iniziative più dure annunciate da Usa e Ue è il blocco dell’Hi-tech. Un duro colpo per Mosca. Sull’Hi-tech anche la Cina non è autonoma, è ancora fortemente intrecciata con l’Occidente e non è disposta a rinunciarvi.
Su Transatlantico.info hai spiegato che la resistenza ucraina è stata addestrata dagli americani, precisamente dalla Soceur (Special Operations Command Europe), secondo il progetto Resistance Operating Concept (Roc), attivo da almeno dieci anni in vari Stati dell’ex blocco sovietico. Se doveva essere un deterrente, non ha funzionato. Vuol dire che Putin aveva buoni motivi per sentirsi minacciato.
Non si è valutato bene quale sarebbe stato l’effetto della decisione di armare l’Ucraina. Obama si è rifiutato di mandare armi letali, per non militarizzare lo scontro, ma nella sua amministrazione esistevano diversi orientamenti. Ci sono istituzioni permanenti – a partire dal Dipartimento di Stato – che sono tradizionalmente più aggressive dei politici eletti, mentre nel Congresso la politica antirussa si è rafforzata in tempi più recenti.
Chi ha sbagliato?
Trump non è riuscito a portare a casa i suoi obiettivi. La sua posizione personale, di apertura verso Putin e contraria a condurre guerre all’estero, ha finito per cedere alle pressioni delle istituzioni militari americane e della Nato e approvare i programmi di assistenza militare.
Cosa puoi dirci del Congresso?
Prevalgono, sia tra i democratici che tra i repubblicani, posizioni antirusse. Ci meravigliamo di Biden, ma la Casa Bianca è continuamente impegnata a frenare ciò che il Congresso vorrebbe veder attuato più velocemente. È così da anni.
Cosa chiedono i congressmen con le posizioni più spinte?
Alcuni volevano mettere sanzioni alla Russia ancor prima della guerra, altri vorrebbero fornire aerei a Kiev. Si segnalano Bob Menendez tra i democratici e Lindsey Graham tra i repubblicani. Quest’ultimo, come sanno tutti, si è spinto a dire che la soluzione sarebbe un omicidio politico a Mosca.
Stoltenberg ha esortato la Cina a condannare con forza l’aggressione di Mosca. La rappresentanza cinese presso la Ue gli ha risposto che “la Cina non dimentica chi ha attaccato l’ambasciata cinese in Jugoslavia (a Belgrado nel 1999, ndr) e non ha bisogno di lezioni da parte di trasgressori del diritto internazionale”.
Dietro le quinte si dice che il motivo fosse la presenza, dentro l’ambasciata cinese, della tigre Arkan (Zeljko Raznatovic, ndr). I cinesi aiutavano i peggiori tra i serbi. Pechino ha comunque buon gioco nel ricordare che l’America ha bombardato Paesi sovrani. Se vogliamo criticare quanto fatto dalla Russia, dobbiamo accettare un po’ di critiche anche per i nostri errori.
C’è una soluzione al conflitto?
Ci sono sia gli elementi di un possibile accordo, sia fattori che lo stanno frenando. Occorre ragionare sulla Crimea, le repubbliche del Donbass e il ruolo della Nato. Sono tutte questioni sul tavolo delle trattative e non si può trovare una soluzione che prescinda dall’affronto realistico di questi problemi.
E i disincentivi?
Sono presenti nella situazione strategica generale. Putin più va avanti, più si danneggia, più crea difficoltà per la Cina. D’altra parte Putin, per poter arrivare a un accordo, non può perdere la faccia.
A chi lo dici?
Dobbiamo decidere se vogliamo fermare la guerra o trarne beneficio a livello strategico. E anche cosa sarebbe la Russia dopo Putin, con realismo e senza illusioni.
(Federico Ferraù)
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