“Draghi ha esordito con una linea diversa” dice al Sussidiario Andrew Spannaus, giornalista e opinionista americano, fondatore e direttore di Transatlantico.info. Draghi e Biden hanno appena parlato davanti ai giornalisti e ai fotografi, nel salottino della Casa Bianca, prima di dare il via al colloquio riservato. “Dobbiamo utilizzare ogni canale per la pace, per un cessate il fuoco e l’avvio di negoziati credibili” ha detto il presidente del Consiglio. Non è la posizione del segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin e del presidente Biden, osserva Spannaus.
Cosa è successo?
Draghi ha capito di dover riflettere l’opinione pubblica italiana e ciò che vanno dicendo alcuni partiti politici in Italia. I temi dei vertici vengono decisi in anticipo, però è chiaro che Draghi ha voluto – o dovuto – esprimere una posizione un po’ diversa rispetto a quella che sapevamo.
Una settimana fa avevamo rilevato alcune smagliature nel suo atlantismo.
È evidente che il governo italiano, almeno così ritengo, non può e non pensa di smarcarsi dalla linea Nato. Ma le parole contano. E quelle di Draghi sono un messaggio.
Biden lo ha ringraziato per “lo sforzo di unire la Nato e l’Ue”. Alla luce di quello che ha detto Draghi, sono dichiarazioni di circostanza?
No, Draghi ha effettivamente contribuito a unire Europa e Nato. Le sue parole di ieri riflettono invece una realtà politica italiana ed europea. Forse non esprimono proprio la sua posizione, e le ha dette perché doveva.
Si fa sentire il peso delle ultime dichiarazioni di Macron, “la pace si dovrà costruire senza umiliare la Russia”?
Macron ha espresso un concetto che non è nuovo per lui, ma lo ha detto in modo molto diretto, in un momento e in una sede istituzionale importante (Strasburgo, Conferenza sul futuro dell’Europa, ndr). Macron va oltre Draghi, perché con la sua dichiarazione di lunedì ha messo in dubbio la linea adottata da quasi tutto l’Occidente, cioè che per poter parlare di pace l’unica soluzione è costringere Putin e la Russia al ritiro sul campo.
La tua opinione?
Quella di Macron è una linea molto più realista. Per la verità, qualcosa sta cambiando anche nella stampa americana. Davanti alla linea Biden-Austin, anche in ambito mainstream aumentano le voci che si chiedono fino a che punto ci si possa spingere.
Puoi fare un esempio?
Thomas Friedman, noto commentatore del New York Times, certamente non accusabile di essere filo-Putin, si chiede se il coinvolgimento dell’intelligence americana nelle operazioni ucraine non porti gli Stati Uniti troppo vicini all’essere considerati parte attiva nella guerra, con il rischio di provocare un’escalation.
15 giorni fa dicevi che l’Italia aveva perso “il suo ruolo storico di Paese mediatore e dialogante con i paesi fuori dell’Alleanza atlantica”. Adesso cosa cambia?
È sicuramente utile che l’Europa esprima una posizione non appiattita sull’amministrazione Biden. Qui ci sono due osservazioni da fare. La prima riguarda gli Stati Uniti, l’altra l’Europa.
Partiamo dagli Usa.
È un errore ritenere che l’America sia monolitica. Non si è antiamericani per il solo fatto di avere una posizione diversa da quella del segretario di Stato; negli States c’è dibattito, perfino al Pentagono c’è qualche malumore su come si dipinge Putin, se questo impedisce di trattare. Una linea di apertura al dialogo, in Europa, può essere molto utile, perché viene a sostegno dei dibattito interno degli Stati Uniti.
E se veniamo all’Europa?
L’indipendenza dell’Europa spesso viene usata in modo strumentale: ci si nasconde dietro l’Europa per non fare passi più coraggiosi. Ma non occorre aspettare che Bruxelles si rafforzi per dire cose o fare scelte intelligenti.
Nel governo italiano non solo la Lega è sempre più perplessa sull’invio massiccio di armi; anche Letta (Pd) ha cambiato idea: “L’Europa si faccia carico delle trattative senza farsi guidare dagli Usa”. Che ne pensi?
L’Italia ha una lunga storia di politica rivolta all’Est e al Mediterraneo e una vocazione a fare da ponte. E non vuole giustamente essere costretta a tagliare i ponti neppure con i Paesi meno amici. Nelle ultime settimane Letta aveva assunto una posizione iper-atlantista, ma non bisogna dimenticare che nel 2014 fu tra i pochi leader occidentali ad andare alle olimpiadi di Sochi. Forse se ne è ricordato anche lui.
Nell’incontro Biden-Draghi si è parlato senz’altro anche di energia. Che sviluppi prevedi?
Non sappiamo cosa si sono detti. Certamente l’Europa, e in essa l’Italia, si è messa in un grande pasticcio, perché ha pensato di fare a meno degli idrocarburi senza essere pronta, per di può aumentando intenzionalmente (con i diritti di emissione) i prezzi dell’energia da fonti fossili. Ora l’Italia avrà bisogno di più gas naturale liquido dagli Usa. Sicuramente non può pensare con quello di sostituire la Russia.
Gli Usa potrebbero usare politicamente il loro gas? Cioè: o la nostra linea su Ucraina e Nato, oppure scordatevi forniture calmierate?
Non è tempo di ricatti tra alleati, semmai di un incentivo per cercare di aiutarli a rimuovere la dipendenza dalla Russia. È un progetto in atto da diversi anni.
Guerra in Ucraina e fonti alternative?
Ultimamente negli Stati Uniti guarda con attenzione al nucleare anche una parte della stampa di centrosinistra, sensibilizzata dalla nuova tecnologia di gestione delle scorie. Sorprende che in Italia di nucleare nessuno voglia ancora parlare. In ogni caso alla situazione generata dalla guerra in Ucraina non c’è nessuna soluzione immediata.
Questo sul piano energetico; e su quello politico?
Per uscire dalla guerra occorre dire su che cosa si è disposti a trattare e il punto di domanda è proprio questo. Per quanto riguarda la Nato, Kiev sa di non potervi entrare. L’ingresso nell’Ue è un tema altrettanto delicato, ma l’opposizione della Russia potrebbe essere meno netta. Gli altri problemi seri mi sembrano la difesa comune europea e i territori.
Il tuo scenario?
La Russia vuole la Crimea e le repubbliche indipendenti, ma in Occidente mi pare che nessuno abbia intenzione di cedere su questi punti. E questo ci dice che la guerra durerà ancora a lungo.
(Federico Ferraù)
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