Apertura di Forza Italia al governo Conte e no di Di Maio a Berlusconi. Il tutto dopo il forte messaggio del Capo dello Stato a maggioranza e minoranza affinché collaborino tra loro, pensando al bene comune, sia sotto il profilo dell’emergenza sanitaria che della crisi economica. Nessun inciucio, nonostante Matteo Renzi abbia dichiarato il benvenuto nel governo a Forza Italia, ha assicurato Antonio Tajani dopo l’attacco di Salvini, mentre anche Noi con l’Italia non farà mancare la propria disponibilità al governo su temi come il bilancio e la crisi economica. “Ma – avverte l’onorevole Alessandro Colucci di Noi con l’Italia in questa intervista – il nostro giudizio sul governo rimane assolutamente negativo per come non abbia fatto nulla a livello sanitario tra la prima e la seconda ondata e su come sono state utilizzate le risorse messe a disposizione dall’Europa”.
Cosa pensa dell’apertura del Pd e di Conte a Forza Italia?
Se questa dichiarazione di alcuni membri della maggioranza è riferita alla disponibilità data sul bilancio e sulla crisi economica, credo sia l’atteggiamento anche nostro sin dall’inizio. La disponibilità della minoranza ritengo sia necessaria in un momento di così grande difficoltà. Più che una apertura verso Conte si tratta di collaborare per il bene del paese per uscire dalla crisi. Sicuramente c’è disponibilità da parte di chi sente queste responsabilità. Questo però nulla toglie al giudizio severo e negativo sul governo da parte dell’area moderata di cui noi facciamo parte.
Ci può spiegare i motivi del vostro giudizio negativo?
Intanto non condividiamo la perdita di tempo che c’è stata fra la prima e la seconda ondata del virus, un periodo in cui non si è fatto nulla per l’emergenza sanitaria. E poi abbiamo un giudizio durissimo su come sono state utilizzate le risorse messe a disposizione dall’Europa e dallo scostamento di bilancio, la possibilità cioè di avere più indebitamento che anche noi, Forza Italia e altri partiti hanno votato in aula, ma su cui chiediamo un utilizzo diverso.
Quale?
Finora rispetto ai 100 miliardi di euro messi in campo dal governo abbiamo visto che 5 sono stati spesi per forme assistenziali e per operazioni di nazionalizzazione. Penso ad Alitalia. Non è pensabile che misure economiche che dovrebbero aiutare quel tessuto economico che da sempre è il pilastro del paese vengano usate per le nazionalizzazioni o per l’assistenzialismo. Se la cassa integrazione era necessaria nella prima fase, oggi pensiamo che quei settori che non possono tornare a lavorare abbiano ancora diritto alla cassa integrazione, ma una parte dovrebbe essere indirizzata al taglio del cuneo fiscale per far tornare le persone a lavorare. Non si può pensare di vivere di cassa integrazione.
Sul fronte delle politiche assistenzialiste rientra anche il reddito di cittadinanza?
Alla crisi economica scatenata dall’emergenza sanitaria non si può rispondere con misure come il reddito di cittadinanza. Dare, poi, prestiti alle aziende non è la strada intrapresa da gran parte dei paesi europei, che hanno invece erogato contributi a fondo perduto direttamente sul conto corrente bancario. Questa è la strada, non prestiti che creano burocrazia: le banche ovviamente fanno come con qualsiasi richiesta di prestito, pur essendoci la garanzia di Stato.
I ristori finora adottati sembrano inefficaci. Voi che cosa proponete?
Ovviamente il tema dei ristori diventa il tema attuale rispetto a come sono stati impostati i decreti precedenti. C’è un pensiero costante del governo che è quello di dimenticarsi sempre di quella parte del paese che regge il paese stesso. Le imprese, se vengono sostenute dagli investimenti, consentono lo sviluppo a tutta la nazione, mentre la fiscalità applicata al mondo produttivo permette di pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici e di creare risorse, ma un governo non può pensare di non dare forza a chi produce valore e su quel valore applicare la fiscalità. È necessario che in alcune attività come quelle del commercio, maggiormente in difficoltà, si attivi una risposta proporzionale agli impegni economici. Dare qualche migliaio di euro a un ristoratore non gli risolve il problema, perché deve affrontare costi fissi e altro. La risposta deve essere dare supporto economico non con i prestiti, ma con risorse a fondo perduto sui conti correnti che siano proporzionali all’attività svolta. Si deve intervenire sul piano fiscale, perché oggi si è ragionato solo sul rinvio delle scadenze fiscali.
Scadenze che dovranno essere pagate.
Infatti, bisogna fare sconti e anche tagli dal punto di vista fiscale, rinviare i pagamenti vuol dire comunque far pagare oneri fiscali a settori economici che non hanno lavorato. Bisogna non applicare alcuna tassazione a chi non ha lavorato, altrimenti ci troviamo davanti ad agitazioni sociali, che sono l’altra faccia di questo grande problema. Ci sono tre princìpi che il governo dovrebbe salvaguardare sempre: la salute, la sicurezza economica da gestire in modo diverso e il tema della libertà.
Ritiene che le libertà del singolo siano violate da questo governo?
Gli italiani sono assolutamente disponibili a fare sacrifici, lo abbiamo visto, però con chi è serio e leale nei loro confronti. Se i criteri non sono chiari e trasparenti, è difficile tenere a casa le persone.
Il Recovery Fund è in ritardo. Di chi è la colpa?
Credo che stia succedendo esattamente quello che è già accaduto con chiarezza sui ristori. Le divisioni nel governo sono molto forti, lo vediamo nei decreti che vengono emanati, dove traspare una forte litigiosità. L’assenza di collaborazione con la minoranza nasce dal fatto che è già complicato andare d’accordo nella maggioranza. Le loro divisioni interne e le posizioni ideologiche dei Cinquestelle fanno perdere tempo e risorse. Poi bisogna ricordare una cosa importante.
Quale?
Il Recovery Fund è una di quelle iniziative dove non è solo il governo a decidere, ma c’è l’Europa che deve giudicare e approvare i progetti del governo. In Italia non si è visto un lavoro all’interno del nostro paese teso a presentare buoni progetti, al contrario si è saltata la fase di confronto, proprio perché fa emergere le divisioni nella maggioranza. Il ritardo è dovuto a questo: è un governo senza strategia, che cerca di mettere delle pezze di volta in volta. Con i decreti presentati fino a oggi il governo si è permesso di lavorare da solo, senza considerare la minoranza e poi troviamo decreti in cui si fa assistenzialismo, si danno risposte ideologiche ai Cinquestelle. Provvedimenti fatti per tenere insieme una maggioranza che fa fatica a stare in piedi, che poi altro non sono che compromessi, quelli che il M5s considerava il male assoluto.
Cambiando argomento, qual è secondo lei la soluzione per la sanità della Calabria dopo tre tentativi falliti dalla maggioranza?
La vicenda calabrese dimostra quanto è incapace questo governo a dare risposte decise e concrete. Ho imparato, in politica, che è meglio sbagliare ma decidere, essere determinati, convinti. In Calabria è stato fatto un pasticcio spaventoso. Bisogna uscire dall’idea che non ci si può avvalere di certe professionalità solo perché indicate da un governo precedente, quindi considerati uomini di appartenenza e dunque non validi. In Calabria bisogna uscire da questa visione e scegliere invece i migliori.
La Lombardia è al centro della pandemia. Che cosa pensa della politica del governo e dell’apri-e-chiudi continuo?
La Lombardia ha vissuto uno tsunami ed è complicato gestire una situazione come questa. Il governo non si è mai assunto la responsabilità di prendere decisioni, non ha seguito un percorso equilibrato che permettesse di programmare le attività. Noi siamo orientati a che tutto rimanga aperto, certamente con regole precise, sanzioni pesanti e controlli delle forze dell’ordine. Crediamo che, se si decidono politiche di chiusura, sia necessario dare una prospettiva. Non si può venire a sapere che il giorno dopo si chiude e che fra un giorno si riapre. I commercianti non sanno cosa fare, hanno bisogno di chiarezza, confronto e informazioni precise. Non possono attraverso una conferenza stampa del capo del governo indetta al venerdì sera venire a sapere cosa succederà l’indomani.