Quando una torbida sequela di dossieraggi e di accessi illeciti ai dati dei cittadini arriva a lambire il Capo dello Stato, dopo aver visto toccati il presidente del Senato e quello del Consiglio, ce ne sarebbe abbastanza per suonare a distesa la campana dell’allarme democratico. Lo scrive la stessa Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Milano: siamo davanti a un pericolo per la democrazia in questo Paese. Eppure l’indignazione non è assolutamente uguale per tutti e vede la rabbia crescente del centrodestra scontrarsi con reazioni timide e al limite dell’evasivo da parte delle opposizioni.



Eppure è da mesi che si aprono nuovi fronti, da uomini delle istituzioni accusati di ficcare il naso in troppi dati (e magari di passarli ai giornalisti “amici”), al bancario pugliese che scandaglia tutti i vip che si fidano di Intesa San Paolo (e sono tanti, visto che la banca ha una convenzione con la Camera dei deputati), da ultimo l’agenzia investigativa di Milano che aveva accesso a un’infinità di banche dati che in teoria dovrebbero essere riservatissime. Filoni separati, in apparenza almeno, ma uniti da un inquietante filo rosso: l’incredibile permeabilità dei sistemi pubblici e privati. Sembra quasi che chiunque possono spiare chiunque, e fare un uso fra il fraudolento e il ricattatorio di informazioni che avrebbero dovuto rimanere riservate e a disposizione solo di pochissimi, e con fondatissimi motivi (cioè la magistratura, nel caso di indagini per reati di particolare gravità). Dice, infatti, uno degli arrestati di Milano: “Abbiamo l’oro in mano, possiamo sputtanare tutta Italia”. Ce n’è abbastanza perché qualunque cittadino possa sentirsi preoccupato.



L’epicentro dell’indignazione è senza dubbio Palazzo Chigi. Hanno scavato nella vita di Giorgia Meloni e dei suoi familiari, a cominciare dalla sorella Arianna. Poi tutto lo stato maggiore di Fratelli d’Italia, personaggi del calibro di Ignazio La Russa e Guido Crosetto (la cui denuncia aprì la prima falla nel sistema). Secondo la premier nella “migliore delle ipotesi” c’è “un sistema di ricatto ed estorsione, ma nella peggiore siamo davanti al reato di eversione”. E c’è un pizzico di sfida nell’auspicare che la magistratura sappia andare sino in fondo. L’elemento dossieraggi si aggiunge, infatti, alle inchieste in atto nei confronti di vari pezzi da novanta della maggioranza, e contribuisce ad alimentare un clima da “sindrome di assedio” che per il governo si potrebbe rivelare particolarmente insidioso. Dopo due anni di navigazione l’esecutivo avrebbe bisogno di un rilancio, e non di una chiusura a riccio.



All’opposto, dalle opposizioni le voci di condanna sono poche e flebili. Autenticamente preoccupati si dicono solamente Renzi e i suoi, forse perché il leader di Italia viva è finito ripetutamente nel mirino degli spioni abusivi. Da Pd e M5s, infatti, si rovesciano le accuse sul governo, reo di non essere stato in grado in due anni di cambiare nulla in termini di cybersicurezza, nonostante una legge molto sbandierata. E dai verdi, Bonelli aggiunge che è colpa di questo esecutivo aver messo un freno alle intercettazioni.

Risposte del genere sembrano eludere la gravità del problema, e destinate ad alimentare la rabbia del centrodestra, che vede quasi esclusivamente suoi esponenti nella lista degli spiati eccellenti. Forse la legislazione esistente non è sufficiente,  e la situazione potrebbe non migliorare con l’inasprimento delle pene per chi viola la privacy dei cittadini. Forse il problema è più ampio. Probabilmente investe la sicurezza stessa delle banche dati sensibili, soprattutto chi abbia il diritto di accedervi. Di sicuro sono in troppi a poterlo fare, ed è troppo facile. Ogni accesso deve lasciare segni evidenti, ogni accesso deve poter essere giustificato. Non è possibile farlo solo per il piacere perverso di guardare i potenti dal buco della serratura alla ricerca di qualche magagna da rivendere, o da usare come arma di ricatto. Se poi i guardoni sono servitori dello Stato (forze dell’ordine, magistrati, servizi segreti), l’imperativo dovrebbe essere ancora più stringente. In tema di privacy e cybersicurezza serve un colpo d’ala e una comune assunzione di responsabilità da parte di maggioranza e opposizione per ricreare un clima di fiducia. Ne va della qualità della democrazia in Italia.

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