Gli interventi del Capo dello Stato in occasione della celebrazione della festa del lavoro non hanno mai un carattere puramente cerimoniale o di circostanza, essendo in sintonia con il lavoro come fondamento stesso della Repubblica, quale sancito dal primo articolo della nostra Costituzione. Basta scorrere quelli degli anni precedenti per osservare come il Presidente della Repubblica ne abbia sempre tratto spunto per affrontare questioni di grande impatto e rilevanza, dallo sviluppo del Paese al benessere dei suoi cittadini, dal precariato alla disoccupazione, dalla dignità sociale all’eguaglianza tra le persone.
Quest’anno, poi, l’intervento del Presidente Mattarella è sembrato avere delle specificità ulteriori e rivestire particolari significati.
In parte, com’è naturale, questo dipende dall’emergenza sanitaria che stiamo attraversando, con le sue drammatiche ricadute. Si spiegano i richiami, in esso contenuti, alle conseguenze della pandemia, che mettono a rischio tanti posti di lavoro; al lavoro e all’opera di chi ha consentito, giorno dopo giorno, al nostro Paese di non fermarsi e di andare avanti, sia pure funzionando a velocità ridotta; alla centralità del lavoro per ridisegnare il modo di essere dell’intero Paese e quanto inevitabilmente finirà per cambiare nella vita delle nostre società.
Ma qui si vuole sottolineare, in particolare, l’accentuata politicità di taluni passaggi, che non si spiega se non in relazione alle difficoltà dello scenario che si va determinando, caratterizzato da una caoticità che rende davvero azzardata ogni previsione sul piano politico-istituzionale.
Colpisce, in primo luogo, un periodo, non breve in vero, che pare quasi un programma d’azione di governo. Si invitano tutti ad indirizzare i propri sforzi verso la ripresa, “a cominciare dal consolidamento dei risultati sin qui ottenuti nella lotta al virus, a un equo, efficace e tempestivo sostegno alle famiglie e alle attività produttive, a quanti sono rimasti disoccupati e senza reddito, in modo da conservare intatte tutte le risorse del nostro capitale sociale e da consentire di far sopravvivere e far compiere un salto di qualità alla organizzazione delle imprese e alla offerta di servizi, con scelte avvedute, nella consapevolezza che sono destinate a incidere sulla qualità della vita di ciascuna famiglia, sugli stessi tempi e ritmi della vita quotidiana delle persone”.
Vi si somma la spinta “verso un cambiamento che sappia valorizzare e non subire fenomeni come la globalizzazione e la digitalizzazione dell’economia, con scelte lungimiranti, cui possono con efficacia contribuire le importanti decisioni già assunte e in corso di definizione da parte dell’Unione Europea”, fino ad auspicare che il cambiamento sia l’occasione “per affrontare efficacemente ritardi antichi come quelli del lavoro per i giovani e le donne, particolarmente acuti nelle aree del Mezzogiorno. Come il lavoro in nero o irregolare, da fare emergere per esigenza di giustizia e contro l’insopportabile sfruttamento”.
Colpisce, in secondo luogo, la ripetuta sottolineatura dell’esigenza di una efficace azione di “governo” della contingenza in atto. L’imponente cambiamento che attende le nostre società – si legge – esige di essere “sapientemente governato”. Il senso di responsabilità dei cittadini affinché ci si continui a comportare con la necessaria prudenza per non rendere vani i sacrifici sin qui fatti si accompagna alla necessità di “indicazioni – ragionevoli e chiare – da parte delle istituzioni di governo”, un passaggio in cui più d’uno ha letto un richiamo all’azione e alla comunicazione del Governo in ordine alla cosiddetta fase 2.
Con l’esigenza, in sottofondo, di “un responsabile clima di leale collaborazione tra le istituzioni e nelle istituzioni”. Quella stessa su cui, non più tardi di due giorni prima, si soffermava la Presidente della Corte costituzionale nella parte finale della sua relazione sul 2019: “In un tale frangente [i momenti di emergenza], se c’è un principio costituzionale che merita particolare enfasi e particolare attenzione è proprio quello della ‘leale collaborazione’ – il risvolto istituzionale della solidarietà – su cui anche la giurisprudenza della Corte costituzionale non si stanca di ritornare, perché l’azione e le energie di tutta la comunità nazionale convergano verso un unico condiviso obiettivo”.
Da sottolineare, infine, il riconoscimento fatto agli sforzi profusi, dal Governo e da ciascuno: “la ripresa è possibile perché nei quasi due mesi precedenti siamo riusciti ad attenuare molto la pericolosità dell’epidemia. Dobbiamo difendere questo risultato a tutela della nostra salute. Non vanno resi vani i sacrifici fatti sin qui se vogliamo assieme riconquistare, senza essere costretti a passi indietro, condizioni di crescente serenità”.
Una riflessione, dunque, con al centro l’azione di governo e l’esigenza di una efficace gestione della situazione contingente che si è determinata, per saperne guidare l’evoluzione. E se c’era bisogno di indicare una strada, il Presidente lo ha fatto a partire dal lavoro, come motore di crescita, condizione di dignità per le persone e fattore di coesione dell’intera comunità.