Il governo Draghi cambia i paradigmi della politica italiana. Nulla sarà più come prima. Ma certi processi hanno bisogno di tempo. E certe abitudini del passato sono dure a morire. Lo si è visto nella prima polemica, quella intorno allo stop imposto in extremis agli impianti sciistici, con lo scontro fra la Lega e il titolare della Salute, che alle sette della domenica sera blocca un settore che sarebbe dovuto ripartire dalla mattina di oggi, lunedì. Giorgetti e Garavaglia contro Speranza.
Ecco, almeno nelle intenzioni dei leghisti il governo Draghi dovrebbe muoversi senza improvvisazioni, e anche gli esperti dovrebbero limitare le loro esternazioni e fornire indicazioni meno ondivaghe. Senza mezzi termini, il caso delle piste da sci costituisce una falsa partenza, e pone in cima alla lista delle priorità la questione dei ristori, per cui è già stato votato uno scostamento di bilancio sino a 32 miliardi di euro. Un decreto nel quale l’economia della montagna, con la stagione invernale totalmente compromessa, dovrà avere un posto di assoluto rilievo. Poi verranno campagna vaccinale e Recovery Plan.
Nel primo Consiglio dei ministri Draghi avrebbe spiegato il cambio di passo che voleva: noi comunichiamo quello che facciamo, avrebbe detto, aggiungendo che ancora non è stato fatto nulla. Registrarsi su questa lunghezza d’onda non sarà facile per i componenti del governo, ma anche per i giornalisti. Ancora di più lo sarà per i partiti, alle prese con un panorama politico stravolto dall’entrata in campo dell’ex presidente della Banca centrale europea.
Due formazioni sono già in difficoltà, i 5 Stelle e Liberi e uguali. Nel primo caso, trattandosi del partito tuttora di maggioranza relativa in parlamento, gli effetti potrebbero vedersi già nel voto di fiducia. Sembrano essere addirittura una quarantina i possibili no a Draghi, fra deputati e senatori. È la punta dell’iceberg di un Movimento sull’orlo di una crisi di nervi e di una clamorosa spaccatura. Non una semplice scissione, ma un’esplosione in mille pezzi, dal momento che non si vede un catalizzatore del dissenso rispetto alla linea governista imposta dal trio Grillo-Crimi-Di Maio attraverso la piattaforma Rousseau, peraltro con almeno il 40% dei militanti contro.
Difficile che sia il solo Di Battista il punto di raccordo dell’ala movimentista, a meno di non immaginare un clamoroso divorzio fra Davide Casaleggio e il comico genovese. In ogni caso, per i pentastellati si apre un periodo di riflessione su cosa fare per non condannarsi a un progressivo declino, sino all’irrilevanza.
Non meno lacerante quanto sta accadendo a sinistra, dove il cartello di Liberi e Uguali è finito in mille pezzi dal momento che uno dei contraenti, Sinistra Italiana di Fratoianni, ha scelto il no alla fiducia a Draghi, anche se due dei suoi tre parlamentari disobbediranno e voteranno sì. Anche qui urge la ricerca di un ruolo, di uno spazio e di una collocazione.
Con tempi diversi, però, tutti i partiti dovranno fare i conti con il nuovo scenario. Nel Pd la mancata designazione di donne ministro apre una resa dei conti che va molto più in là della semplice questione di genere. Dopo aver gridato “O Conte, o voto”, sul banco degli imputati è la fallimentare linea Zingaretti-Bettini. Il percorso verso un congresso invocato da più parti, potrebbe aprire fratture profonde, anche intorno alla scelta strategica di andare verso un’alleanza stabile con i 5 Stelle. Il tutto con le amministrative nelle maggiori città italiane alle porte (che siano a giugno o settembre cambia poco).
Grandi rivolgimenti potrebbero avvenire anche nell’area centrale, la più magmatica, con una pluralità di soggetti a litigarsi lo spazio, da Renzi a Calenda, dalla Bonino a Berlusconi. E con un convitato di pietra, Giuseppe Conte, uscito fra gli applausi da Palazzo Chigi e recordman di like sui social. Di lui nessuno conosce le intenzioni, se correre in proprio, o mettersi alla testa di un esercito fiaccato e senza condottiero, i 5 Stelle.
Naturalmente anche il centrodestra è tutto da ripensare. Dalla Meloni che ha scelto per calcolo l’opposizione, alla Lega, che invece sembra incamminata sulla via del lento avvicinamento al Partito popolare europeo, al di là delle smentite di circostanza. Salvini è stato il più rapido a vedere nuovi spazi, ma il suo percorso è solo all’inizio.
I processi politici richiedono tempo, anche se talvolta accelerano. Il terremoto Draghi si è abbattuto in un lampo sulla politica italiana. Gli effetti concreti cominceremo a misurarli solo fra qualche mese.
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