L’appello al senso di responsabilità che Giuseppe Conte fa via Facebook alla vigilia dell’avvio della fase 2 suona un po’ come una dichiarazione di impotenza. Si riparte perché non si può stare fermi ancora, si riparte perché lo richiedono a gran voce le ragioni dell’economia, ma senza certezza, anzi in una grande confusione.
Cittadini e imprese sono stati bombardati da informazioni monche e contraddittorie, alimentate anche dal continuo scontro fra governo centrale, regioni e sindaci. Che il cielo ce la mandi buona, insomma. I tecnici del governo avevano suggerito una cautela maggiore, e il timore di una seconda ondata rimane concreto.
Se fosse stato nelle condizioni, la sera prima del “liberi tutti” (o quasi), Conte avrebbe volentieri fatto una delle sue conferenze stampa in stile di monologo. Se non l’ha fatto è perché era a mani vuote. Mancava dell’annuncio più atteso, di quel decreto a sostegno dell’economia che è in incubazione da talmente tanto tempo che ormai non potrà più chiamarsi “decreto aprile”, come in origine. Se il testo non vede la luce è perché non è pronto, una sorta di tela di Penelope che si tesse e si disfa in continuazione. Ieri pomeriggio l’ennesimo vertice con i capi delegazione della coalizione evidentemente non ha registrato passi avanti. Mancano o i soldi, o le idee, più probabilmente entrambi.
Fumata nera, insomma, mentre le lancette corrono. Il fattore tempo è decisivo in questa fase, in cui le aziende italiane non hanno visto soldi (o briciole), a differenza dei concorrenti di molti altri paesi. Questo è il nodo centrale per la fase 2, tanto per il versante economico, quanto per la politica, che arranca.
Si discute del dopo Conte, ma nulla può cambiare sino a quando dura l’emergenza, anche se l’unità nazionale tanto invocata da Mattarella è rimasta una pia illusione, anche per responsabilità del premier. I retroscena dei giornali sono pieni di scenari talvolta fantasiosi, e il penultimatum pronunciato da Renzi nell’aula de Senato ha ulteriormente aumentato il clima di incertezza. Variabili del governo istituzionale sono esecutivi “Ursula”, con gli azzurri di Berlusconi a puntellare una possibile emorragia del Movimento 5 Stelle. Oppure stessa maggioranza di oggi, ma con un robusto rimpasto, e un democratico a Palazzo Chigi, Franceschini, Zingaretti o la new entry Lorenzo Guerini, ministro della Difesa.
Le contromisure di Conte passano per un’offensiva mediatica tesa a ribadire che l’esecutivo è solido e le larghe intese sono solo chiacchiere. Corollario: non possiamo permetterci instabilità, che sarebbe un danno serio per il paese. Vien da chiedersi quanto possa durare la strategia della ineluttabilità di questo governo, l’unica che garantisce a Conte la permanenza a Palazzo Chigi.
Difficile che la spallata possa concretizzarsi in un parlamento dove almeno i due terzi dei deputati e dei senatori non ha alcuna prospettiva di rientrare in caso di elezioni: gran parte dei grillini e degli azzurri vedono il proprio seggio a rischio, e non sono i soli, vista la prospettiva di scendere a breve da 945 a 600 parlamentari. Dicono gli americani che non si può chiedere al tacchino di essere felice quando viene Natale: per una pattuglia renziana che potrebbe abbandonare la maggioranza, c’è sempre la possibilità che si materializzi un distaccamento di nuovi “responsabili”, pronti a correre in soccorso di Conte.
Il rischio però di cui Palazzo Chigi sembra tenere poco in conto è quello dell’insoddisfazione esterna alla politica. Quella della piazza, che può essere di destra o di sinistra, poco cambia. O quello della protesta delle categorie produttive. Il commercio è del tutto insoddisfatto del ritardo con cui sarà consentito rialzare la saracinesca dei negozi. Il turismo è in ginocchio, e senza un piano di riavvio. Gli industriali sono furibondi per i soldi che non arrivano. E i sindacati affilano le armi, a cominciare dalla scuola, con in vista uno scontro frontale con le intenzioni della ministra Azzolina di didattica metà in classe e metà online per la ripresa di settembre. Un impasto più esplosivo del tritolo.
Se anche l’Europa dovesse voltargli le spalle, giudicandolo inadeguato, per Conte sarebbero guai. I rischi veri sono quasi tutti esterni alle aule parlamentari.