Quando la scorsa settimana è esplosa la polemica sulla giustizia, da sinistra hanno provato in ogni modo a trascinare nell’arena il Quirinale. Il Capo dello Stato, impegnato in un lungo viaggio in Sudamerica, fra Cile e Paraguay, per sottrarsi ha dovuto far diramare una nota informale per puntualizzare che non aveva commenti da fare, tantomeno dall’estero.
Non è che sul Colle manchi preoccupazione: si tratta della volontà precisa di non farsi tirare per la giacca. La convinzione è che la questione sarà di lunga durata e che sia meglio lavorare di fioretto piuttosto che di scimitarra. È facile ipotizzare poi che, non appena rientrato in Italia, Mattarella abbia ripreso i contatti con i vertici istituzionali, anche se questi contatti non si interrompono mai, neppure quando il presidente della Repubblica è in viaggio lontano dalla Penisola. Di fatto è stata l’occasione pre mettere in moto tutta la moral suasion di cui il Quirinale è capace. Un soft power che in epoca mattarelliana è stato usato moltissime volte.
Obiettivo nell’immediato non può che essere un generale abbassamento dei toni. È il presupposto per un confronto nel merito, per il quale oggi le condizioni sembrano mancare. Di carne al fuoco ce n’è tanta. Dal lato delle intenzioni del Governo ci sono idee divisive come la separazione delle carriere, la riforma dell’avviso di garanzia e delle intercettazioni, la riscrittura dell’ imputazione coatta. Dal lato delle azioni della magistratura i casi Delmastro, Santanchè e del figlio di Ignazio La Russa.
Chi conosce bene Mattarella sa che ritiene inaccettabile guardare questo incrocio come un groviglio di azione e reazione fra i due campi. Per il presidente della Repubblica, fra i poteri dello Stato deve esserci una leale collaborazione, senza invasione di campo. “La Costituzione – ha spiegato a Napoli a maggio – definisce con puntualità l’ambito delle attribuzioni che sono affidate agli organi giudiziari, così come i compiti e le decisioni che appartengono, invece, ad altri organi, titolari di altri poteri. Questo riparto va rispettato”. Tradotto: le leggi le fa il Parlamento, la magistratura le applica, non le modella a proprio piacimento. In cambio, a garanzia delle toghe deve essere garantita la più assoluta indipendenza.
I paletti sono questi. Entro di essi deve svolgersi il confronto. In questo la Meloni è avvertita, e forse in questa fase l’esigenza di abbassare i toni accomuna Quirinale e Palazzo Chigi. Al momento non sono previste occasioni in cui il Capo dello Stato possa intervenire sul tema della giustizia. Chi smania e lo tira per la giacca dovrà attendere la fine del mese, la tradizionale cerimonia del Ventaglio con la stampa parlamentare, e la commemorazione a Palermo dei 40 anni dell’assassinio del giudice Rocco Chinnici.
Da qui ad allora ci sarà tempo per dispiegare la diplomazia riservata per cui Mattarella è ormai celebre. Difficile immaginare che ci sia uno scontro sulla firma con cui il Capo dello Stato autorizza la presentazione del disegno di legge Nordio di riforma della giustizia alle Camere: i giornali filo-sinistra hanno ingigantito questo passaggio, che è poco più che formale. Non si tratta della firma di un decreto legge. Se il via libera del Colle ha sin qui tardato è perché il testo uscito da Palazzo Chigi il 15 giugno aveva notevoli problemi di copertura finanziaria, e quindi la Ragioneria dello Stato ha preteso alcuni correttivi prima di concedere la sua “bollinatura”, la certificazione della sostenibilità del testo nel quadro del bilancio dello Stato. Al Quirinale hanno iniziato a esaminarlo solo lunedì. L’esame del testo di riforma della giustizia che dovesse uscire dal dibattito parlamentare sarà di sicuro assai più severo rispetto a quello del ddl.
Certo, c’è un aspetto delicato degli ultimi casi giudiziari: quello morale. I richiami ai magistrati a tenere un comportamento specchiato non si contano, in particolare dallo scoppio del caso Palamara in poi. Stessa irreprensibilità sarà di sicuro richiamata anche per i politici, soprattutto coloro che rivestono ruoli istituzionali, o di governo. Su questo piano, prima o poi, la voce di Mattarella si farà sentire. Il corso delle inchieste giudiziarie è tutt’altra cosa.
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