Si era arreso all’idea di firmare lo scioglimento delle Camere sin da mercoledì il presidente Mattarella. La giornata di ieri è servita solo ad accelerare al massimo possibile le scadenze istituzionali in modo tale da non sprecare tempo, e lasciare il maggior spazio possibile al tentativo di approvare la legge di bilancio entro fine anno evitando così quell’esercizio provvisorio che manca in Italia dal 1988.
Insanabile la frattura fra Draghi e i partiti. E le delusioni per il capo dello Stato non sono venute solo dalle forze politiche. Anche i toni usati dal premier in Senato sono risultati indigesti, al punto che nei corridoi dei palazzi romani si vocifera di un profondo dissidio fra Quirinale e Palazzo Chigi. Toni troppo divisivi e inutilmente ostili, quelli usati dall’ex banchiere centrale. E pure quel farsi scudo delle attestazioni di stima popolare come se fossero voti ottenuti alle elezioni a Mattarella pare non sia risultato proprio gradito. Non a caso sembra sia stato perentorio il Quirinale nello stroncare sul nascere le voci che avrebbero voluto Draghi intenzionato a non gestire l’ordinanza amministrazione da qui al voto: non è mai successo, e non succederà questa volta.
Nell’intervento pubblico con cui Mattarella ha spiegato agli italiani le ragioni dello scioglimento c’era molto rammarico, accanto a notevoli preoccupazioni. La prima rispetto al rallentamento dell’azione di governo. Su questo il capo dello Stato ha usato toni perentori: in un periodo di difficoltà non sono consentite pause negli interventi indispensabili. Crisi economica, inflazione, contrasto della pandemia, conseguenze della guerra russa, attuazione del Pnrr. Su tutti questi temi il governo, ha assicurato Mattarella, ha i poteri necessari per intervenire, anche se formalmente in carica solo per il disbrigo degli affari correnti. Non a caso nessuno ha posto problemi a che i ministri del partito che ha contribuito ad aprire la crisi, il Movimento 5 Stelle, rimanessero al loro posto.
Nonostante questo, il Quirinale teme che il dilaniarsi dei partiti in campagna elettorale paralizzi tutto. Da qui il richiamo a dare una mano, anche in campagna elettorale, mettendo davanti a tutto l’interesse del Paese, sperando che questo appello trovi orecchie attente e responsabili.
Non si fa soverchie illusioni, Mattarella. Davanti a lui, ed all’Italia, si prospettano mesi difficili. Prima del voto, ma anche dopo. E in fondo lui se lo aspettava. Non può essere casuale se al momento della sua rielezione aveva fatto sapere che non avrebbe accettato di considerare il suo secondo mandato come limitato. Non avrebbe tollerato di essere tirato per la giacca, il secondo mandato andava considerato come pieno. Già da allora s’intravedeva la possibilità di un’affermazione elettorale del centrodestra, magari nel 2023, non nell’autunno di quest’anno. Mattarella aveva voluto con tutta evidenza mettere le mani avanti: tutti dovevano essere consapevoli che in una simile eventualità lui non avrebbe potuto prendere in considerazione l’idea di dimettersi alla Napolitano. Avrebbe, anzi, sentito come suo preciso dovere rimanere al suo posto sino all’ultimo giorno del suo secondo settennato, salute permettendo, per garantire l’equilibrio del sistema. Per parlare chiaro, per controbilanciare una vittoria della destra e un possibile arrivo della Meloni a Palazzo Chigi. Perché lui, a fronte di una vittoria elettorale, l’incarico non avrebbe potuto certo rifiutarglielo.
Il momento della verità si avvicina. Mattarella potrebbe trasformarsi nel rigido custode della Costituzione contro ogni sbandata contraria, sull’Europa, come sui valori fondamentali. Per farlo al Capo dello Stato le armi non mancano. Basti pensare al potere di rinvio alle Camere delle leggi, esercitato dall’attuale presidente una volta sola in sette anni e mezzo.
Con Draghi, certo, la sintonia valoriale era massima, almeno in partenza. Sul finale, forse un po’ meno. Adesso Mattarella si prepara al dopo. Con calma e pazienza, ma anche con fermissima determinazione. Al Quirinale si stanno allacciando le cinture di sicurezza.
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