Ricorderemo a lungo questo agosto 2022 come il mese estivo più movimentato della storia della politica italiana. I nostri avi della prima repubblica si guardavano bene dal rovinare le vacanze degli italiani (e la loro), al punto che avevano inventato i “governi balneari”. A dire il vero a fare casino in pieno agosto ci aveva già provato Matteo Salvini, che nel 2019 aveva affondato il governo giallo-verde dopo il ribaltone di M5s.
Ma ora Carlo Calenda lo ha superato. In appena 10 giorni è riuscito a fare due accordi con Letta – uno siglato con una stretta di mano, il secondo con tanto di documento firmato e conferenza stampa di presentazione – e disdirli come se fossero delle prenotazioni prese su Booking.com. Ha cambiato non si sa più quante volte idee e alleati (ha sfanculato pure senza farsi troppi problemi il patto siglato pochi mesi fa con +Europa), sterzando a destra e sinistra, neanche fosse alla guida di un tozza-tozza di un luna park.
Enrico Letta ne esce come un gigante, un maestro paziente a cui è toccata la classe peggiore con il Pierino di turno, un padre generoso che offre ancora una volta una possibilità al figlio irrequieto di redimersi, il marito saggio che si sobbarca il compito di tenere unita la famiglia. Tutto inutile, tempo sprecato: Calenda si è divincolato con una furia che rasenta l’impazzimento. A Letta non resta altro che cercare di far valere davanti agli elettori la sua forza tranquilla e la sua coerenza, la sua sincera volontà di unire, la sua dignitosa fermezza nell’affrontare un nemico superiore a cui dovrà tentare – ormai quasi da solo – di impedire la vittoria schiacciante.
E Calenda? Bella domanda. Intanto è bene ripassare qualche regola del Rosatellum e smentire un paio di grossolani errori circolati in queste ore. Calenda può andare da solo, può fare una propria lista come Azione, ma dovrà raccogliere le firme, tante firme, perché non ha più l’appoggio di +Europa, che gli consentiva di presentarsi bypassando questo ostacolo non da poco. E poi se va da solo deve prendere il 5% dei voti, e non più il 3%, soglia sufficiente solo se si partecipa ad una coalizione (in grado di prendere più del 10%).
Calenda dovrà rispettare queste regole anche se va in coalizione con Renzi e, notizia dell’ultim’ora, la lista dell’ex sindaco 5 Stelle di Parma, Pizzarotti. Cioè, per essere precisi, devono insieme prendere più del 10% per partecipare alla distribuzione dei seggi e la sua lista per eleggere deve superare comunque il 3%. In alternativa, ci sarebbe una scorciatoia per evitare la raccolta firme e la tagliola del 10%. Calenda e Renzi (e Pizzarotti) dovrebbero fare una lista unica, accoppiando i simboli, tipo bicicletta. A quel punto basterebbe un 5% cumulativo. Ma li vedete Renzi e Calenda nella stessa lista?
Vedremo nei prossimi giorni l’effetto delle intemperanze di Calenda sui sondaggi e soprattutto capiremo i suoi prossimi passi. L’entusiasmo con cui è stata salutata su Twitter la sortita del leader di Azione da parte del vasto popolo dei senza-voti che pontificano ogni ora del giorno e della notte sulla politica italiana la dice lunga su come andrà a finire la faccenda. Certo è che il leader di Azione non ha retto alle pressioni di chi – sondaggi alla mano – ha cercato di coinvolgerlo ad ogni costo nel progetto di costruzione di un polo di centro. Lui era indispensabile, senza di lui non si sarebbe potuto fare, proprio perché lui era il “signor Martini”, quello di “no voti? No party”.
Vedremo che piega prenderà la vicenda. Quello che è certo è che esiste un dopo 25 settembre, non tutto finisce con il voto. Questo per dire che i comportamenti in politica possono non avere conseguenze immediate (pensate ad un imprenditore che rompe in 10 giorni due accordi sottoscritti che futuro potrà mai avere), ma alla lunga segnano il destino di un leader. Letta ne esce come un signore per bene a cui è possibile, con tranquillità, affidare compiti delicati. Da Calenda molti italiani – dopo quello che ha fatto oggi – non comprerebbero neanche più la famosa auto usata.
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