Direbbe Vujadin Boskov “partita finita quando arbitro fischia tre volte!”. E la partita non è affatto finita con l’incarico a Mario Draghi.

Che la trattativa con Italia viva fosse in salita era ben chiaro ai vertici del Pd sin dall’inizio. Si erano però illusi che Renzi potesse accontentarsi di qualche ministro in più. Si erano predisposti ad una complessa opera di mediazione, praticamente su tutto, giustizia compresa. Ma alla luce delle modalità della rottura definitiva e del contestuale entusiasmo manifestato per l’ultima iniziativa di Mattarella, serpeggia al Nazareno il sospetto che il senatore di Rignano si sia immolato (visto il crollo dei suoi già striminziti consensi) per un’operazione preparata e concepita da tempo in qualche luogo segreto.



Ora però se Draghi ha da giocare qualche carta tenuta abilmente nascosta, dovrà scoprirla nei prossimi giorni. Al momento infatti l’ex governatore fa fatica a mettere insieme i numeri per la fiducia. E sbaglia chi dà per fatto il nuovo governo. Il Pd ha dichiarato subito il suo pieno sostegno, ma come Zingaretti ripete da settimane, questo sostegno vale l’11% al Senato e il 14% alla Camera. Se poi si assommano i parlamentari dei vari micro-gruppi che si sono già dichiarati entusiasti sostenitori (+Europa, Tabacci, Toti, il Centro democratico) e della falange renziana, non si raggiunge neanche un terzo del parlamento. Per cui le partite decisive che si giocano in queste ore sono due e si stanno svolgendo in maniera speculare ai due lati opposti dello schieramento.



Il Movimento 5 Stelle è fermo al momento su una posizione di cortese rifiuto. Lo ha spiegato come al solito Travaglio sul Fatto Quotidiano. Molto più nette sono le posizioni di Grillo e di Di Battista. Il Pd sta provando di inserirsi nei pochi margini che sono stati offerti dalla discussione nei gruppi parlamentari. E dal silenzio indecifrabile di Conte. E nell’incontro di ieri sera tra i partiti dell’ex maggioranza Zingaretti si è speso molto per convincere gli alleati a continuare ad avere una posizione comune. Vedremo, ma conoscendo i 5 Stelle sembra difficile che possano sostenere un governo tecnico.



L’altra partita si gioca nel centrodestra. Ma anche tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia sembra prevalere – tranne qualche piccola defezione – l’interesse di coalizione. Una ragione c’è ed è abbastanza semplice. Tra non molto si voterà e poiché non sembra più possibile cambiare la legge elettorale – altro grave errore commesso dallo stratega Renzi, e che lo condannerà probabilmente all’estinzione – la vittoria nei collegi (resi tra l’altro molto grandi dalla modifica del numero dei parlamentari) sarà appannaggio esclusivo delle grandi coalizioni.

Nel Pd una piccola fronda di ex sostenitori di Renzi annidata nei gruppi parlamentari ha cercato di contestare la condotta di Zingaretti. Ma il gruppo dirigente compatto ha respinto le critiche al mittente. La linea rimane quella di prima: anzi, si cercherà di trasformare le difficoltà di questo passaggio in una ragione di più per rinsaldare l’alleanza con le forze fedeli alla maggioranza che ha sostenuto il governo Conte fino alla fine. Goffredo Bettini ha scritto ieri un lungo post in cui non solo ha difeso il suo ruolo di “suggeritore” di Zingaretti, ha espresso “gratitudine per Giuseppe Conte” a cui ha riconosciuto di “aver guidato un governo politico onesto e serio”, e ha argomentato in modo assai esplicito quali saranno le prossime mosse del Pd. Bettini chiarisce che la prospettiva naturale è il voto, non subito ma in concomitanza con la tornata amministrativa. “Non si può continuare a dire che c’è il pericolo che vinca la destra”.

Il Pd nelle prossime ore cercherà comunque di dare una mano. Ci sarà un impegno serio a tutela del tentativo di Draghi, il cui fallimento non solo esporrebbe Mattarella ma minerebbe la stessa credibilità futura dello stesso ex presidente della Bce.

Bettini non è il solo a vedere a breve la prospettiva delle elezioni. Anche la Meloni sarebbe disposta a barattare un’eventuale astensione con una data certa delle prossime elezioni. Lo stesso Salvini nel salotto di Otto e mezzo ieri ha spiegato che è disposto a dare un sostegno a Draghi, ma a tempo e su un programma preciso e con l’impegno a votare entro la fine dell’estate.

Ecco perché la partita è ancora aperta. Le domande sono: Draghi è disposto a fare un governo a tempo? E stiamo parlando di un governo con ministri politici o tecnici? Ha un programma edulcorato fino al punto di evitare tutti i veti che sono già sul tavolo? Cosa pensa di proporre su temi divisivi come la giustizia, il Mes, quota 100, il reddito di cittadinanza, la sanità regionalizzata e la mancanza di vaccini? Che fine farà fare al super manager Arcuri?

Vedremo nelle prossime ore. Sicuramente Renzi ha avuto un merito, quello di aver fatto cadere un governo di centrosinistra e di aver ridare il “pallino” a Salvini e al centrodestra. Ora però spetta a loro fornire la risposta principale a Draghi. Il Pd – a cui tutti continuano ad assegnare compiti decisamente sproporzionati rispetto alla sua reale forza – cercherà di tenere insieme i pezzi della ex maggioranza. Senza rinunciare a quel ruolo di partito-perno, a cui tutti guardano con aria di superiorità e arricciando il naso, ma che poi – alla fine della fiera – si rivela sempre essere indispensabile per tenere insieme le cose.

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