Caro direttore,
il solco che divide il Paese in queste settimane tra chi empatizza e solidarizza con il popolo ucraino ed i fautori dell’accettazione della prepotenza russa, giustificata da alcuni con la legittima necessità di difendersi da parte di un sistema di potere, non è arato in un terreno vergine. Siamo da decenni divisi tra coloro che sono incapaci di comprendere lo stato di grande difficoltà che attanaglia le aree più soggette ai poteri criminali, guardate con compassione ed un senso di lontana impotenza, e tra chi soggiace a quelle dinamiche e fatica farsi capire nel proprio moto di ribellione.
L’occupazione che le mafie hanno fatto del Mezzogiorno è tale che in questi giorni il presidente del Tar della Campania ha lanciato un inusuale allarme, sostenendo che dal suo osservatorio non può che constatare come il numero di aziende interdette per mafia sia talmente elevato da aver di fatto queste ultime, legate alla criminalità, eliminato dal mercato in alcuni settori ogni attività estranea a collusioni. Si riferisce, con tutta evidenza, alle aziende che lavorano con la pubblica amministrazione e che subiscono un embargo giuridico potente attraverso l’interdizione a contrarre con lo Stato. In pratica una resa dichiarata dello Stato, come quella che alcuni chiedono a Zelensky, consegnandosi all’invasore, al potere violento, all’antistato.
Nel mentre il resto del Paese si è fatto neutrale in questa lotta, e non ha neppure imaginato di esprimere reale solidarietà, il potere delle forza, delle bombe, della corruzione mafiosa ha di fatto sostituito il tessuto produttivo legale.
La guerra nel Mezzogiorno tra mafia e Stato ha fatto tanti morti ed ha i suoi eroi, ha protagonisti coraggiosi ed esempi fulgidi, ma a differenza della resistenza ucraina non è oggi una guerra di popolo. Molti sono già arresi e affiliati di fatto, anche con la loro inerzia, e la cultura dell’illegalità ha preso per assurdo più forza in questo decennio. Approfittarsi del reddito di cittadinanza, lavorare irregolarmente, occupare abitazioni, ignorare il senso civico e seguire solo il proprio piccolo interesse sono strategie vincenti per chi vede solo il chiuso limite del proprio recinto. E questo aiuta chi pensa che non sia un problema proprio e che si debba lasciare campo invece che combattere.
Questa posizione ha avvantaggiato i sistemi criminali ed ha creato le condizioni per la resa e lo spopolamento. L’invasore ha vinto in molte aree e si sente ormai comodamente seduto sul trono costruito sul sangue e con la violenza. Come Putin ambisce a fare.
La lontananza geografica crea un cuscinetto psicologico che rende tutto più accettabile, ma le conseguenze colpiscono tutti. Lo spreco di denaro, innanzi tutto, ma sopratutto la perdita di occasioni che potrebbero far rinascere speranza e forza civica nel ventre della società italiana.
Nessuno ha il coraggio di schierarsi apertamente per le mafie, come alcuni per Putin, ma le dinamiche solo le stesse come identiche sono le ragioni. Anche l’Ucraina è una miccia alla cultura imperiale russa così come la democrazia e lo stato di diritto minacciano le mafie. E come oggi sulle sponde del Mar Nero, anche le sponde del Meridione non possono da sole emanciparsi definitivamente dal giogo mafioso.
Ma c’è una differenza: mentre per il popolo che si riconosce nell’oro del grano e nel blu del cielo, la Nato e la Ue restano un miraggio, per il Meridione lo Stato è uno e condiviso, come lo sono le leggi e gli interessi.
E quindi, perché non si agisce con profitto, almeno nel nostro Paese, va compreso. La spiegazione può essere proprio nello stesso atteggiamento di alcuni sulle vicende ucraine. A questi non interessa molto modificare lo status quo, preferiscono dialogare e comprendere chi gestisce il potere di fatto con la violenza ed il ricatto e pensano di usarlo per sé in chiave elettorale. Ignorano volutamente il problema chini su se stessi. Come chi teme di perdere il gas di Putin, alcuni politici temono di perdere la benzina elettorale del consenso criminale o più semplicemente creare sviluppo in aree diverse da quelle in cui si vive.
Ma il cancro della violenza imperialista e mafiosa si diffonde e sfonda i confini ed irrompe nella vita di tutti. Perciò bisogna schierarsi e dare sostegno ai valori profondi e veri. Perché solo con la bussola della democrazia come valore, dello Stato di diritto, dell’equità si può affrontare un futuro in cui i violenti che vogliono un impero grande come tutta l’Eurasia o solo esteso a pochi quartieri di Palermo, saranno ancora tentati di vincere sfruttando le nostre idee deboli, i nostri solchi, la nostra voglia di sentirci lontani dal destino che non sembra appartenerci.
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