Il Covid-19 ha dato un nuovo slancio alla questione meridionale che sembrava sopita sotto i colpi di una conclamata oramai ultracentennale superiorità del Nord.
La posizione degli studiosi Sergio Marotta e Andrea Patroni Griffi si inserisce in un nuovo modo di vedere e parlare del Sud, modo che discende da una serie di eventi legati al Covid-19 che hanno spezzato le retoriche di pensiero dominanti sul Sud.
Prima del Covid-19, infatti, il Sud era diviso tra coloro che proponevano il rafforzamento dell’intervento pubblico nel Mezzogiorno, introducendo magari timidamente la clausola del 34% degli investimenti pubblici, e coloro che vedevano il Sud come un luogo di inefficienza e di assistenzialismo. Anche i pochi, all’epoca, meridionalisti più spinti non sembravano più convinti della causa, seppure consapevoli che a fronte di maggiori risorse europee, le regioni del Sud continuavano a subire decurtazioni poco convincenti sui fondi ordinari, rendendo i fondi strutturali di fatto sostitutivi e non più aggiuntivi, come avrebbero dovuto essere in origine.
Tra le retoriche legate alla visione del Sud vi erano le seguenti.
Primo: il Sud è un luogo disorganizzato e poco sicuro, il Nord è avanzato e sicuro. Il Covid-19 ha mostrato che anche produrre ricchezza ha i suoi costi esterni e che i danni ambientali, e in aggiunta quelli climatici, hanno dato vita a dinamiche che occorre rapidamente invertire, soprattutto al Nord.
Il famoso servizio sull’ospedale Cotugno di Napoli ha mostrato, contemporaneamente, l’esistenza al Sud di risorse nascoste, disperse o male utilizzate, che per approccio culturale precostituito si tende a sottovalutare.
Secondo: il Sud non sa attuare interventi pubblici efficaci e drena risorse pubbliche in maniera opaca e poco trasparente. In particolare, la sanità al Sud si immaginava essere del tutto inadeguata.
Col Covid-19 abbiamo scoperto i reali numeri della spesa sanitaria per regione negli ultimi anni (cfr. Viesti, 2020) rendendoci conto che la spesa procapite è stata ingiustificatamente più bassa nelle regioni del Sud: qui alcuni indicatori, quali la speranza di vita alla nascita, ad esempio, avrebbero richiesto un intervento più equo.
La spesa sanitaria al Nord, inoltre, non è valsa a contenere gli indici di contagio e di mortalità del virus. L’immagine di una sanità al Nord efficiente è stata demolita.
Terzo: il flusso migratorio desiderabile appariva essere da Sud a Nord.
Con il Covid-19, lo smart working si è in seguito tradotto in southworking; la fuga dalla stazione di Milano, nella famosa notte in cui è stato tardivamente partorito il lockdown lombardo, ha simbolicamente rievocato il ritorno alle origini dei tanti emigrati, evidentemente e istintivamente agognato. Il Covid-19 è stato l’evento che ha prodotto spontaneamente il maggior rientro di cervelli al Sud che si sia mai verificato negli ultimi trent’anni, producendo un arresto dell’emorragia di giovani che solo qualche mese prima preoccupava i policy makers. Nessuna policy ha avuto lo stesso prorompente effetto. Bisognerebbe pensare a come rendere duraturi tali effetti della pandemia, indiretti e non voluti, che avrebbero richiesto, se non ci fosse stato il Covid, uno schieramento di risorse e di programmi che difficilmente avrebbero prodotto gli stessi risultati.
Queste retoriche sono state di fatto “smontate” dal Covid-19, come Marotta e Patroni Griffi mettono bene in evidenza.
Ma essi hanno anche il pregio di metterci in guardia da una serie di rischi incombenti, in un momento in cui le scadenze elettorali prendono la scena: gli interessi dei partiti, i vari movimenti e la pletora di candidati in passerella hanno, di fatto, occupato il palcoscenico del dibattito sulle policy da attuare con i tanti fondi europei disponibili a seguito del negoziato europeo dello scorso luglio, di cui non c’è quasi più traccia nella stampa di questi giorni. Abbiamo “portato il bottino a casa” ma non si parla più di come spartirlo e cosa farne: questo dibattito non si può permettere battute d’arresto, dovrebbe essere acceso e trasparente, anche al netto degli effetti “vacanza”, “referendum” ed “elezioni”.
Non era tanto urgente conquistare questi fondi dall’Europa? E ora possiamo permetterci di aspettare elezioni e dinamiche strettamente politiche prima di decidere cosa farne? Dove sono, in tutto questo, gli interessi dei cittadini? Non sono interessi, perlomeno parzialmente, da considerare super partes?
Può bastare la decontribuzione del decreto cosiddetto “Agosto” a risarcire i danni prodotti al Sud?
Il primo rischio è il prevalere della politica sull’economia e sullo sviluppo. La chiusura del Sud (necessaria? si chiedono giustamente Marotta e Patroni Griffi) ha prodotto molti danni ed è apparsa ingiustificata sulla base dei numeri di contagio ed è sembrata porre, inoltre, rimedio ai danni della tardiva chiusura del Nord.
Tutti pensano ora alle scadenze elettorali e alle azioni capaci di produrre cambiamento nel breve termine per guadagnare voti e consensi immediati. Emblematica la vicenda delle scuole, affidate all’autorganizzazione più spontanea nei mesi del lockdown e a una commessa di acquisto di banchi mobili e alla misurazione della temperatura… Non sono i giovani a dover ripagare il debito europeo? Non dovrebbero essere messi al centro dell’agenda politica, come ha affermato anche Mario Draghi alla recente convention di Rimini?
Eppure i giovani, per chi se ne fosse accorto, sono stati associati in questi mesi solo a parole come Dad, discoteche, Grecia e chiusure elettorali delle scuole e troppo poco a parole come istruzione, cultura, sviluppo, futuro.
Secondo rischio che ci sottopongono gli autori: la politica in questo momento subisce delle pressioni sul riparto di risorse. Il vincolo di destinazione è caduto sulle risorse 2014-20, al Sud si parla ancora di 34% sugli investimenti ordinari come se nulla nel frattempo fosse accaduto. L’Europa guarda al Sud con un’attenzione diversa e spinge per ridurre il divario, quasi come se avesse finalmente il dubbio che l’ inefficienza del Mezzogiorno non sia dipesa solo da esso.
Terzo: centralismo e regionalismo oggi si combattono.
Il Recovery fund dovrebbe poggiarsi su un elenco di interventi deciso a livello centrale e le tradizionali politiche di coesione 2021-27 dovrebbero agire a livello regionale sui problemi strutturali; ma quali saranno i problemi strutturali e quale spartiacque segnerà la fine della crisi contingente?
Sarà necessaria una forte governance, come sottolineano gli autori.
Sarà necessario anche che l’ intervento per il Sud smetta di essere solo assistenziale e legato a slogan puntuali, senza una visione di Paese.
Perché il Sud non spende? Perché non si sviluppa? Può essere solo colpa del Sud?, si comincia a chiedere anche l’Europa.
Del coraggio di porsi queste domande semplici dobbiamo ringraziare gli autori, che nella scia del miglior “pensiero meridiano” ispirato al sempre più rivoluzionario libro di Franco Cassano, richiamano l’urgenza di un pensiero sul Sud, non solo per il Sud, ma per l’intero Paese.